La grande storia dei mondiali: Brasile 1950

La FIFA tornò a riunirsi solo nel 1946, dopo un intervallo di otto anni dall’ultimo Mondiale..
di Cesare Gigli

Capitolo 1

La FIFA tornò a riunirsi solo nel 1946, dopo un intervallo di otto anni dall’ultimo Mondiale e dall’ultimo convegno. La guerra, che aveva spazzato via intere popolazioni e generato orrori indicibili, rischiò anche di portarsi via la Coppa della Vittoria. Questa, detenuta dall’Italia quale campione in carica, nel settembre del 1943 si trovava in casa di Ottorino Barassi, il segretario della FIGC. Nel periodo dell’occupazione nazista di Roma, l’ordine che arrivò da Berlino alle SS ed alla Gestapo fu di prendere la coppa a tutti i costi. Del perché Hitler volesse quella coppa sono state fatte diverse ipotesi: dalla fame per l’oro al valore “esoterico”che si dava a quel particolare trofeo. Noi ci permettiamo di suggerire una motivazione forse fin troppo semplice: bisognava privare i “traditori italiani” di qualsiasi attestazione di supremazia, fosse anche semplicemente calcistica.

Bussarono in casa di Barassi una mattina presto, e misero a soqquadro la casa. I Nazisti non trovarono però la coppa. Qui le versioni divergono. La più accreditata afferma che Barassi la nascose in una scatola di scarpe sotto il letto, dove i tedeschi non pensarono di cercare. Pennacchia scrive invece che Barassi, mentre mandava la moglie ad aprire, consegnò la coppa al generale Vaccaro, con il quale aveva il balcone confinante (abitavano entrambi a Piazza Adriana a Roma). I Nazisti non trovarono nulla da lui ed andarono da Vaccaro che aveva, lui si, nascosto il trofeo sotto il letto del figlio in una scatola da scarpe. Ma quando videro nella casa del generale una lettera di Goering in persona assieme ai trofei sportivi, girarono i tacchi e se ne andarono. Rimangono in piedi altre ipotesi più fantasiose, come quella di Barassi che da la coppa in custodia a Cevenini I (giocatore famoso nei primi anni del XX secolo, anche se fu il fratello, III della serie, ad essere quello più bravo), nella sua tenuta di campagna in provincia di Bergamo. Opzione che ci sentiamo di scartare: nascondere la coppa nel posto dove più a lungo ci fu l’occupazione tedesca non ci sembra sia la cosa più logica che il buon Barassi possa aver pensato.

La coppa, comunque era salva (per adesso: ben altre traversie quei 4 Kg d’oro dovranno attraversare). Ricomparve ufficialmente in Lussemburgo nel luglio del 1946, dove vennero assegnate le fasi finali dei mondiali del 1950 e del 1954 (si discusse anche se anticiparle al 1949 e 1953, ma si decise di mantenere la manifestazione negli anni pari). Per il 1942 i candidati erano Germania e Brasile, ma ormai la Germania non esisteva più: le due nazioni che verranno formate nel 1949 (La Repubblica Federale e quella Democratica tedesca) non avevano nulla, figuriamoci una federazione calcistica. Il Mondiale 1950 fu quindi assegnato al Brasile, mentre quello del 1954 fu assegnato all’unica nazione che si presentò: la Svizzera.
Ma più grandi novità ci furono in quella riunione della FIFA: le nazionali inglesi entravano finalmente, e questa volta definitivamente, dentro la Federazione mondiale del Calcio e, per celebrare i 25 anni della sua presidenza, la coppa salvata da Barassi e portata a Lussemburgo fu rinominata Coppa Jules Rimet.

Fu decisa anche la formula del torneo: 4 gironi da 4 squadre, le prime di ogni girone si sarebbero scontrate in un girone finale che avrebbe deciso la vincitrice: non ci sarebbe stata una finale vera e propria! Per capire come mai, bisogna sempre far presente che affrontare, soprattutto per le squadre europee, un lungo viaggio per poi giocare magari una sola partita non avrebbe invogliato molti a partecipare. Fu decisa quindi una formula che avrebbe consentito più partite possibili. Certo, con gli occhi di oggi, non far disputare la finale sembrerebbe un’eresia (come vedremo, la finale de facto, se non de jure, ci fu: tanto che poi quella partita fu considerata finale anche dalla FIFA nel 1986). 8 posti (Italia inclusa, qualificata automaticamente in quanto campione del mondo) sarebbero stati riservati all’Europa (incluse Siria e Turchia), 5 al Sud America (incluso il Brasile qualificato come padrone di casa), 2 al Nord/Centro America ed 1 al resto del mondo.

I Candidati per i 14 posti disponibili furono 32: spiccavano le assenze delle forti nazionali dell’Est (ormai diventato blocco sovietico), tra cui le finaliste del ’34 e del ’38 Cecoslovacchia e Ungheria, per la polemica sul professionismo (nel mondo di oltre cortina lo sport doveva essere teoricamente solo dilettante). In realtà, quel pezzo di Europa si stava riavendo ancora dalle ferite del conflitto Mondiale: a tutti gli effetti le nazionali del Patto di Varsavia parteciparono poi agli altri mondiali. Il vincolo del dilettantismo comunque fu mantenuto per le olimpiadi, il cui torneo di calcio infatti cominciò da allora a perdere di importanza.
Nel gruppo “resto del mondo” si iscrissero solo nazioni asiatiche: Filippine, India, Burma e Indonesia, ma tutte tranne l’India (che quindi fu qualificata) si ritirarono prima della disputa di una sola partita.

I due posti del Nord e Centro America furono disputati invece nel torneo continentale del 1949, che si disputò a Città del Messico nel settembre del 1949. Parteciparono tre delle quattro affiliate: Messico, USA e Cuba, con il Canada che rinunciò. Il Torneo fu senza storia: organizzato con sei gare (ognuna della partecipanti incontrava l’altra due volte), vide il Messico stravincere a punteggio pieno con punteggi umilianti: 17 gol fatti e solo due subiti. I centroamericani avrebbero di nuovo partecipato alla fase finale dei mondiali dopo 20 anni. L’altra nazione qualificata furono gli Stati Uniti, che nei due incontri con Cuba vinse e pareggiò. Ma non era più di sicuro una nazionale che metteva paura: in un’amichevole con gli italiani aveva anche rimediato un 9-0 che non ammetteva repliche (almeno al momento).

In Sudamerica furono creati due gironi da disputarsi in round robin (girone all’italiana): uno da tre ed uno da quattro posti: i primi due classificati sarebbero stati qualificati per la fase finale. Questa cosa indispettì molto l’Argentina, che avrebbe preferito un formato ad eliminazione diretta: per protesta (e secondo noi anche per il fatto che i rivali storici brasiliani stavano organizzando la fase finale della competizione) si ritirò (quell’Argentina era una grande squadra, capace di vincere per 4 volte la Copa America negli anni ’40, ma che cominciava a mostrare chiari segni di declino) assieme al Perù ed all’Ecuador. Uruguay, Paraguay, Cile e Bolivia si ritrovarono così qualificati automaticamente. Erano passati 20 anni da quando esistevano i campionati mondiali di Calcio, ed ancora non si era giocata una sola partita di qualificazione in Sud America.

Capitolo 2

Rimanevano da assegnare i restanti sette posti europei: due di essi sarebbero arrivati dall’”Home Champioships” (il 4 nations di Calcio) dove le 4 “nazionali britanniche” si sfidavano, stavolta non soltanto per la vittoria del torneo. Giocato tra l’ottobre del 1949 e l’aprile del 1950, Inghilterra e Scozia prevalsero nettamente su Galles e Irlanda (quest’ultima, per l’ultima volta, Irlanda e non Irlanda del Nord, avendo giocatori anche dell’EIRE). L’ultima partita, giocata a Glasgow il 15 Aprile, con inglesi e scozzesi a punteggio pieno, non avrebbe detto nulla in termini di qualificazioni mondiali: entrambe sarebbero andate in Brasile. Era però la finale del torneo, di fatto. Vinse l’Inghilterra per 1 a 0 con gol del centravanti Bentley. Bentley fu poi soprannominato (per ragioni che poi vedremo) “L’uomo che proibì Rio alla Scozia”-

Nel secondo gruppo, l’Austria avrebbe dovuto vedersela con la vincente di Turchia-Siria. La prima sconfisse per 7-0 i Siriani, ma alla fine l’Austria (che nell’anteguerra era un gigante del calcio, ricordiamolo) si ritirò: erano ancora troppo pesanti le ferite lasciate dalla guerra. I turchi, quindi, furono qualificati. La Francia, invece, avrebbe dovuto vedersela con la Jugoslavia, che aveva facilmente battuto Israele: nei due match di andata e ritorno a Parigi ed a Belgrado il risultato fu di 1-1 e si rendeva necessario uno spareggio, effettuato a Firenze l’11 dicembre del ’49. Fu un match tiratissimo, che vide prevalere la Jugoslavia solo a 6’ dalla fine del secondo tempo supplementare per 3-2. Jugoslavi in Brasile e galletti a casa.
Due gironi furono composti da sole due squadre: in uno la Spagna sconfisse il Portogallo e nell’altro la Svizzera ebbe la meglio sul Lussemburgo. Gli elvetici avrebbero dovuto vedersela col Belgio, che però rinunciò, per gli stessi motivi dell’Austria. Nell’ultimo girone, composto da Svezia, Finlandia ed EIRE furono i primi ad avere nettamente la meglio e ad andare in terra sudamericana.

Nel frattempo, il Brasile si preparava all’evento: come disse un calciatore di quel tempo, “In Brasile il calcio non è lo sport nazionale: è LA NAZIONE”. Lo fecero cominciando a costruire lo stadio più grande del mondo (il Maracanà, 200.000 posti), e preparandosi scrupolosamente per quello che ai loro occhi era un trionfo annunciato: non era minimamente concepibile perdere il mondiale di casa.
C’erano ancora da dirimere i sorteggi: assegnate le 4 teste di Serie ai padroni di casa, ai campioni in carica, all’Uruguay che un campionato del mondo l’aveva vinto e (noblesse oblige) all’Inghilterra, restavano da riempire le altre 3 fasce: nella seconda (le migliori europee) capitarono Scozia, Svezia, Spagna e Svizzera, nella terza Jugoslavia, Turchia Cile e Paraguay e nella quarta le Cenerentole: USA, Messico, India e Bolivia.

Il sorteggio si effettuò a Rio il 22 maggio del 1950, ed i 4 gironi furono i seguenti:
Gruppo 1 – Brasile, Svizzera, Jugoslavia e Messico;
Gruppo 2 – Inghilterra, Spagna, Cile, USA;
Gruppo 3 – Italia, Svezia, Paraguay, India
Gruppo 4 – Uruguay, Scozia, Turchia, Bolivia.
Il Mondiale sarebbe cominciato il 24 di Giugno, ma la situazione, ad un mese di distanza dall’inaugurazione, era tutt’altro che formalizzata: La Turchia rinunciò alla partecipazione per motivi economici, la Scozia – ufficialmente – perché era arrivata seconda nell’Home Championship (decisione che secondo noi mascherava altro, anche in questo caso motivi economici), e l’India perché “non gli era consentito di giocare a piedi nudi”. Unico caso di squadra qualificata alle fasi finali dei mondiali a non aver giocato neanche una partita, fin adesso. Rimet provò in extremis a rimediare, invitando Francia, Portogallo ed EIRE (eliminate nei gironi di qualificazione), ma tutte e tre le federazioni nazionali declinarono: in effetti il preavviso era troppo breve. La decisione presa alla fine fu – con gli occhi di oggi – incredibile: I gruppi rimanevano quelli del sorteggio ufficiale, con un girone da 3 (quello dell’Italia) ed uno addirittura da 2 (quello dell’Uruguay).

I favori del pronostico erano tutti per Brasile ed Inghilterra: l’Italia, dopo la tragedia di Superga dove perì il grande Torino, non era più riuscita a rimettere in piedi una squadra realmente competitiva. La chiara sconfitta con l’Inghilterra poco prima dei mondiali stava li a dimostrarlo. Oltretutto, il modulo WM (il sistema) adottato dal grande Torino e che quindi veniva trasferito in nazionale, era adatto solo per quei grandi giocatori (che secondo noi avrebbero vinto tutto con qualsiasi modulo, data la loro classe), e chi subentrò fece fatica ad assimilare lo schema. L’Uruguay, per quanto fortunato nel sorteggio con solo la Bolivia da battere, non veniva troppo considerato: aveva partecipato in maniera disastrosa alla Copa America del 1949, ed anche se nella Copa del Rio Branco giocata un mese prima dei mondiali (una strana coppa che vedeva competere ad anni irregolari solo Brasile ed Uruguay) aveva, in uno dei tre incontri programmati, battuto i Brasiliani per 4-3, non veniva molto accreditato. Rispetto al 1949, aveva inserito tre elementi di valore, comunque: il capitano Varela a centrocampo, Alcide Ghiggia e “Pepe” Schiaffino in attacco. Ma il suo antiquato modulo 2-3-5 a “Piramide Rovesciata” (tra parentesi, è il modulo con il quale ancora oggi vengono lette le formazioni…) si pensava nulla potesse fare contro il WM modificato dei Brasiliani: la “diagonale”, che prevedeva che il quadrilatero di centrocampo fosse “a rombo” e non “a quadrato”,per di più asimmetrico, con il vertice basso orientato verso il terzino destro e quello alto verso l’ala sinistra. Si formavano così due “diagonali”, appunto: una che partiva dal terzino destro e finiva alla mezzala sinistra ed una che partiva dalla mezzala destra per finire all’ala sinistra. Perni delle due diagonali erano il vertice basso ed alto del rombo. Questo consentiva ad avere in attacco fino a 6 giocatori, con i due centrocampisti laterali lesti a portare il pallone preso dai terzini in attacco. Insomma, i padroni di casa si sentivano già campioni del Mondo.

Capitolo 3

Nel primo girone la partita inaugurale (che fu anche l’inizio del campionato) si giocò il 24 di giugno nel Maracanà non ancora completo. Le immagini mostrano la folla che riempie lo stadio passando in mezzo a cantieri ancora aperti tenendosi in bilico su assi che collegano in modo precario differenti parti dello stadio. L’inaugurazione “informale”, più che altro un test per saggiare il campo, si era tenuta due settimane prima con un’amichevole tra rappresentative giovanili di Rio de Janeiro e di San Paolo.
Il primo gol del nuovo stadio fu realizzato da un giovane centrocampista del Fluminense: Valdir Pereira, meglio noto come Didì.

Il Brasile sotto gli occhi dell’arbitro inglese Reader (che arbitrerà, oltre alla partita d’esordio, anche quella finale della manifestazione) stravinse 4-0 contro il Messico, e peggior esordio al mondiale per il giovane portiere Carbajal (che diventerà, assieme a Matthaus il giocatore che ha partecipato a più edizioni della fase finale dei mondiali) non poteva esserci. Ma poco si poteva contro fenomeni come Jair (ovviamente solo omonimo di quello dell’Inter), Baltazar e soprattutto Ademir, autore di una doppietta ed alla fine capocannoniere del torneo con 8 reti. Nell’altro match, giocato il giorno dopo a Belo Horizonte, la Jugoslavia si sbarazzò della Svizzera con un eloquente 3-0. Curioso il fatto che l’arbitro, l’italiano Galeati, fu costretto a ritardare l’inizio del match per due motivi che oggi apparirebbero assurdi: mancavano le bandierine del calcio d’angolo ed alcuni tifosi, visto che non si trovava posto in tribuna, si sistemarono con delle piccole sedioline ai bordi del campo…

La seconda giornata del girone si giocò il 29 di giugno: Il Brasile, che giocò a San Paolo anche per ragioni di ecumenismo (sarebbe comunque stata l’unica partita giocata non al Maracanà) se la doveva vedere con la Svizzera: pensando che l’avversario fosse debole, e per far contenti i tifosi, il CT sudamericano imbottì la squadra di giocatori Paulisti. Ed alla fine sembrava che avesse ragione: già al 3’ era in vantaggio con e, dopo aver subito il pareggio al 17’, si riportò in vantaggio al 32’ col “solito” Baltazar. Grande fu quindi la sorpresa quando, a due minuti dalla fine, l’elvetico Fatton pareggiò per la seconda volta, segnando la sua personale doppietta. Per tale impresa, la comunità di lingua tedesca in Brasile gli fece dono di 5 pietre preziose. Poiché la Jugoslavia vinse col Messico per 4-1, il Brasile era obbligato a vincere l’ultima partita proprio contro la squadra europea per passare il turno (la formula del torneo prevedeva che passasse solo la prima, ricordiamolo). In Brasile non ci si preoccupò più di tanto: quel mondiale per i tifosi era già vinto, tanto che si stava già componendo l’inno per la vittoria. E poi, la squadra sarebbe tornata al Maracanà, dove con il tifo di oltre 100.000 persone era impossibile perdere. In effetti andò proprio così: la Svizzera batteva il Messico 2-1 relegando i centroamericani a 0 punti, il Brasile si sbarazzò per 2-0 della Jugoslavia, segnando al 4’ con Ademir ed al 69’ con Zizinho, che sostituì Baltazar di li in avanti. Brasile, quindi al girone finale.

Nel secondo girone, l’Inghilterra, sicura della sua supremazia, arrivò in Brasile solo pochi giorni prima dell’inizio del torneo, e svolse allenamenti poco mirati: qualche corsa sulle spiagge e poco più. Il CT britannico, Winterbottom (che però non era il selezionatore: questa cosa avrebbe causato molto polemiche in seguito), aveva sottovalutato clamorosamente l’evento. La prima giornata, il 25 giugno, prevedeva Spagna-USA ed Inghilterra-Cile. Nella prima partita gli statunitensi misero paura alla formazione iberica, conducendo per 1-0 fino a 9’ dalla fine. Ci fu poi il crollo, e con tre reti negli ultimi minuti la “furie rosse” riuscirono a passare. Nella seconda l’Inghilterra vinse si per 2-0, ma faticando moltissimo e subendo l’iniziativa Cilena per lunghi tratti. Il capitano inglese, Billy Wright, disse: “per la prima volta mi sono sentito stanco molto prima della fine del match”. Oltretutto, il giorno prima erano i giocatori erano andati a vedere la partita del brasile, rimanendo sia impauriti dal tifo (non erano abituati a tale calore), sia impressionati dalla qualità del gioco della nazionale di casa, tanto da cominciare a pensare che forse non sarebbero stati loro i favoriti.

Nella seconda giornata, comunque, il 29 giugno, gli Inglesi avrebbero affrontato i modesti USA. Avevano perso 9-0 contro l’Italia, che ne aveva prese 4 dai “maestri”: come aver paura di loro? Ma mentre la Spagna replicava il 2-0 contro il Cile, a Belo Horizonte si consumò una delle più grandi sorprese della storia dei mondiali: gli USA vinsero per 1-0. Partita di quelle stregate per i poveri sudditi di Re Giorgio: presero 4 pali, ed incontrarono un portiere, Frank Borghi, nella giornata della vita. Questo misconosciuto dilettante che a Saint Louis guidava il carro funebre dell’azienda paterna, si sarebbe sentito soddisfatto se solo fosse riuscito a limitare il passivo a 4 reti, ed invece parò tutto. Nonostante i furibondi attacchi (gli USA tirarono in porta per la prima volta solo al 25’) un banale cross dalla tre quarti verso il 38’ fu intercettato di testa dal meticcio Gaetjens, di padre Belga e madre Haitiana, che spiazzò il portiere inglese. Il pubblico, inizialmente di sole 5.000 persone, raddoppiò durante la partita, per vedere la sorpresa. Sempre Billy Wright disse: “era una partita stregata. Avevamo la sensazione che non avremmo segnato mai”. La mattina dopo i quotidiani che riportarono il risultato (0-1) furono tempestati di proteste: ci doveva essere un errore di stampa, dicevano, forse volevate scrivere 10-0 o 10-1. Del resto, il quotidiano Daily Telegraph commentò il prepartita affermando che sarebbe stato corretto dare ai poveri americani 3 gol di vantaggio… sic transit gloria mundi.

La cosa curiosa era che nonostante tutto, se avesse battuto la Spagna, l’Inghilterra avrebbe ancora potuto qualificarsi: ma ormai il morale era a pezzi, e le polemiche per non aver schierato la stella della squadra Stanley Matthews ormai erano divampate, e così, mentre il Cile dominava sugli USA tornati cenerentola per 5-2, l’Inghilterra perdeva di nuovo per 1-0 con La Spagna, che così si qualificò per il girone finale. Autore della rete al 48’ Zarra con un colpa di testa (anzi, con “la miglior testa d’Europa dopo Churchill”, come dissero i commentatori spagnoli in vena di prese in giro).

Il terzo girone era composto da sole tre squadre, ed era evidente che la partita decisiva sarebbe stata quella tra i campioni del mondo in carica dell’Italia ed i campioni Olimpici in carica della Svezia: questi ultimi, carichi di giocatori che avrebbero poi calcato il nostro campionato (Skoglund, Nordhal, Jeppsson), ebbero la meglio sull’Italia del dopo Superga (e che proprio per lo choc di quella tragedia decise di andare in Brasile in nave): 3-2 il risultato finale. L’Italia perdeva così, il 25 giugno 1950 a San Paolo la sua imbattibilità mondiale, ed anche la possibilità di accedere alla fase finale. Il Successivo pareggio tra gli scandinavi ed il Paraguay per 2-2, infatti, tagliava definitivamente fuori l’Italia dal primo posto. Il match finale del girone il 2 Luglio contro il Paraguay, vinto 2-0, salvò almeno l’onore. Ma al girone finale andò la Svezia.

Infine in una partita singola, l’Uruguay maltrattò la Bolivia per 8-0 (povera Bolivia: fino al 1950, tre partite giocate ai mondiali, 16 gol presi e nessuno subito), accedendo così, più fresco, al girone finale.

Il girone finale cominciò il 9 di luglio: la prima giornata vedeva di fronte Uruguay e Spagna contemporaneamente alla partita Brasile Svezia. Mentre quest’ultima finiva in un trionfo dei sudamericani per 7-1 con quaterna di Ademir (la seconda della fase finale dei mondiali, dopo quella dei Willimowki), l’Uruguay fece fatica con la Spagna, che con due gol rimontò la rete iniziale di Ghiggia. Il capitano Varela ristabilì la parità solo a 15’ minuti dalla fine. La seconda giornata, il 13 di luglio, fu la fotocopia della prima. Mentre il Brasile strapazzava la Spagna 6-1, L’Uruguay ebbe ragione della Svezia solo nei minuti finali, vincendo 3-2 all’85’ dopo che fino al 77’ era sotto 2-1. Insomma, la giornata finale si stava preparando come un trionfo dei padroni di casa. Mentre la partita tra Spagna e Svezia avrebbe deciso le posizioni di rincalzo, al Maracanà si sarebbe celebrata l’apoteosi annunciata.

Le partite si giocarono in contemporanea, il 16 di luglio 1950 alle ore 15.00 locali. La Svezia, riuscì a conquistare il terzo posto battendo 3-1 la Spagna, mentre a Rio si consumava una delle più grandi tragedie sportive del mondo.

Capitolo 4

Già dalla mattina, i giornali locali uscivano con titoli a nove colonne del tipo “Oggi saremo campioni del Mondo”, ed il presidente Brasiliano, nel suo discorso prima della partita, salutò i giocatori della sua nazionale dicendo “Saluto i futuri campioni del mondo”. Insomma, la possibilità che l’Uruguay potesse batterli non era contemplata. Angelo Mendes de Moraes, il governatore dello stato di Rio, ribadì il concetto: “A Voi, Brasiliani, vi considero già vincitori, tra poco meno di due ore sarete acclamati da milioni di vostri compatrioti. Non avete uguali sulla terra, siete superiori a tutti. Vi saluto già come conquistatori della coppa del Mondo”.
 Il centrocampista uruguaiano Perez, a quelle parole, divenne così nervoso che se la fece sotto durante l’esecuzione degli inni. Fortunatamente furono solo poche gocce: Varela, il capitano celeste, aveva in mattinata comprato tutti i giornali locali che celebravano già la coppa, tappezzò con quelle copie i bagni dell’albergo, ed invitò tutti i calciatori della sua squadra a farci pipì sopra. Il discorso di Al Pacino in “Ogni maledetta Domenica”, al confronto, è nulla.

Il CT uruguagio, Lopez, comunque, aveva preparato la gara non solo emotivamente, ma anche tecnicamente: avendo visto che l’unica partita che il Brasile non aveva vinto era quella contro il “verrou” svizzero, mentre le altre squadre, tutte schierate col sistema, avevano preso batoste sonore contro quella “diagonal” adottata dalla nazionale di casa, decise di usare il metodo: secondo lui il libero dietro era una soluzione da adottare, ma che col modulo a W invece che con il WM avrebbe anche consentito di attaccare: del resto, per l’Uruguay l’unico risultato possibile era la vittoria.

La partita, con lo stadio peno di 199.854 spettatori (dato ufficiale, anche se dubbi su come vennero esattamente contati ne nutriamo: rimane comunque record insuperato di spettatori per un evento sportivo) cominciò come prevedibile: con il Brasile all’attacco e l’Uruguay a difendersi ordinatamente. L’intervallo finì così: 0-0. I tifosi erano felici (il pareggio li avrebbe comunque laureati campioni), ma a metà: volevano la vittoria. Perez, il “pisciasotto”, nello spogliatoio affermò che continuare a difendersi sarebbe stata la tattica migliore, ma Varela, il capitano, lo zittì brutalmente: “Spagna e Svezia hanno preso 13 gol per difendersi. Ricordatevi che chi sa di perdere non gioca. Ora cominciamo lo spettacolo”.

Ma la ripresa cominciò dando torto a Varela. L’ala Friaça, al 47’ riesce finalmente a sbloccare il risultato con un preciso diagonale: 1-0! Il Maracanà esplode, solo una persona non si fa condizionare dall’ambiente: il n 5 e capitano della Celeste (già, perché finalmente si usavano i numeri sulle maglie). Le immagini lo mostrano che va lentamente a raccogliere la palla dalla rete e, mentre la riporta a centrocampo, guarda intensamente tutti i suoi compagni, quasi a dire: “ora è tempo di vincere”.

Ed aveva ragione: l’Uruguay, passato all’attacco (non aveva altra scelta, del resto), mise in mostra tutti i limiti della difesa brasiliana.

Al 66’, Ghiggia dall’ala fa secco il terzino Bigode e crossa: Schiaffino è pronto al centro e batte imparabilmente Barbosa: 1-1!

I Brasiliani erano ancora campioni del mondo, ma non si sentivano più tanto sicuri.

Tredici minuti dopo, la nemesi si consuma: Ghiggia, di nuovo, supera Bigode, ma stavolta tira: Barbosa che si aspettava il cross è spiazzato e la palla gonfia la rete: 1-2!.

A questo punto, mancavano 11 minuti ed il Brasile poteva ancora pareggiare e vincere così il titolo: ma la sensazione della tragedia aveva ormai preso emotivamente sia i calciatori, che non riuscirono più ad essere incisivi, sia lo stadio, che rimase in perfetto silenzio (irreale, disse qualcuno: nelle polemiche post partita qualcuno riuscì ad accusare anche i tifosi dicendo che proprio quando dovevano spingere i loro beniamini in difficoltà rimasero zitti) fino alla fine del match. Ghiggia racconta: “Solo tre persone hanno ridotto il Maracanà in completo silenzio: Frank Sinatra, Giovanni Paolo II ed il sottoscritto”.

La partita finì così, con Rimet costretto a prendere la coppa da solo ed a consegnarla a Varela senza la presenza di nessuno del comitato organizzatore, scappati chissà dove. Per il Brasile fu tragedia nazionale. Racconta l’autore del gol del temporaneo vantaggio Friaça: “Ricordo le felicità per il mio gol: dopo ho un vuoto mentale. La cosa che ricordo dopo è che mi trovavo a casa di mia sorella, dove mi avevano portato dopo avermi trovato sotto un albero di Giaca. Mi ci vollero sei giorni per tornare a casa, ed un anno per tornare a giocare a pallone dimenticando quella tragedia”.

I Brasiliani piansero amaramente. Un senso di superiorità come quello che avevano, quando crolla, crolla definitivamente. “Non vinceremo mai una Coppa del Mondo”, dissero (non sapevano, i poverini, che un bambino che all’epoca aveva nove anni li avrebbe portato, solo venti anni dopo, a prendersi quella coppa definitivamente).  Cominciarono a cercare subito i colpevoli: iniziarono con i giocatori di colore, affermando che non si erano impegnati abbastanza, soprattutto se la presero con il portiere Barbosa (il meno colpevole di tutti, secondo noi), oltretutto incolpandolo di “portare sfortuna”. Come atto liberatorio, nel 1963 riuscì ad avere i vecchi pali quadrati del Maracanà è li bruciò a casa sua, ma fu inutile: ancora nel 1993, gli fu proibito, da parte della federazione Brasiliana, di assistere anche solo commentatore tecnico alle partite della nazionale. Pochi mesi prima di morire, nel 2000, disse: “In Brasile la massima pena è di 20 anni di prigione; io, per una cosa della quale non sono neanche responsabile, sto pagando in maniera anche più crudele da 50 anni”.

Altri giocatori Brasiliani che giocarono quella partita non videro mai più la nazionale, e si decise di non usare mai più la maglia bianca: nella loro visione superstiziosa, erano convinti portasse sfortuna anche quella.

Gli idoli uruguaiani, Ghiggia e Schiaffino, vennero a giocare in Italia e furono anche naturalizzati come oriundi solo per subire poi l’onta di venire eliminati (unico caso per la nazionale italiana) prima della fase finale dei mondiali nel 1958. Ghiggia, in particolar modo, avendo forse subito troppo l’atmosfera della squadra per la quale giocava, ebbe anche guai con la giustizia: trovato in dolce compagnia dentro una cinquecento, non solo dovette riconoscere il frutto di quell’incontro, ma fu anche condannato a due mesi circa di prigione per atti osceni in luogo pubblico. Unico sopravvissuto di quella finale, ha avuto la soddisfazione nel 2008 di entrare nella “Hall of Fame” del Maracanà, in un Brasile finalmente più maturo.

Un’ultima parola per Gaetjens, l’autore del gol della vittoria degli USA sull’Inghilterra: tornato ad Haiti per impegnarsi politicamente, fu arrestato e presumibilmente giustiziato dalle forze fedeli a “Papa Doc” Duvalier nel 1964. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.

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