La grande storia dei mondiali: Svizzera 1954

Berna è una piccola cittadina Svizzera, che ha come unica nota quella di avere il governo federale elvetico..
di Cesare Gigli

Capitolo 1

Berna è una piccola cittadina Svizzera, che ha come unica nota quella di avere il governo federale elvetico, uno degli organismi nazionali più deboli che possano esistere. Eppure, nel 1954, fu teatro di una battaglia e di un miracolo. La nazione famosa per la sua neutralità si trovò, nel 1954, a vivere nella sua capitale eventi sportivi che furono molto più drammatici di quasi tutta la sua pacifica storia.

La scelta della FIFA di assegnare alla Svizzera la fase finale dei mondiali 1954, fatta come abbiamo visto nel 1946, celebrava i 50 anni della Federazione. In effetti, il paese elvetico non aveva stadi e risorse adatti ad ospitare una manifestazione così importante, anche se poi dal punto di vista economico la manifestazione fu comunque un successo. Ma la storia di questo mondiale non comincia in Svizzera, ma in Inghilterra ed in Germania, con due fatti, antecedenti l’evento, che sono entrati di diritto nella storia di questo meraviglioso sport.
Il primo è la certificazione definitiva del declino dell’Inghilterra come forza egemone del calcio, e la consacrazione dell’Ungheria come squadra più forte del mondo. L’amichevole giocata a Wembley il 25 novembre del 1953, cinque giorni prima del sorteggio dei gironi di quel mondiale, terminò con un tennistico 6 a 3 per i magiari, che confermarono la loro “aranycsapat”, squadra d’oro in ungherese. Già vincitori delle olimpiadi del 1952, ed imbattuti ormai da tre anni e mezzo avevano sviluppato, guidati dal loro allenatore, Sebes, un’evoluzione del sistema, che prevedeva l’arretramento del centravanti e l’inserimento delle mezze ali in area. Per il povero stopper del modulo “WM” erano guai: se seguiva il centravanti lasciava sguarnita l’aerea, se rimaneva indietro doveva fronteggiare non uno, me due attaccanti di area. Tale modulo, chiamato “MM”, sempre dalla forma che lo schieramento dei giocatori aveva sul terreno di gioco, era particolarmente adatto a loro, per le caratteristiche tecniche del calciatori e per come erano abituati a giocare in patria. Gli Inglesi, sconfitti per la prima volta in patria da una squadra continentale, si resero conto, ed il mondo con loro, di non essere più i maestri del Calcio, ma solo degli insegnanti che avevano davanti degli studenti più bravi di loro. Della storia e dell’impatto che questa partita, una pietra miliare nella storia di questo sport, ha avuto, se ne potrebbe parlare e scrivere molto, ma questa è una storia dei mondiali, per cui fermiamoci qui.

Il secondo fatto è meno legato direttamente al calcio giocato, ma è comunque importante in chiave storica: quando nel 1950 si rifondò la federazione tedesca (che in questo caso diventava quella tedesca dell’ovest) fu richiamato, come CT, quello dell’ultimo periodo nazista: Sepp Herberger, sodale col regime di Hitler fin dal 1933. Per una nazione che si vergognava di se stessa, fu un boccone amaro da digerire, ma come vedremo mai scelta fu più azzeccata. Herberger ricostruì la squadra dalle macerie, dando ai tedeschi per la prima volta l’orgoglio di essere tali dopo la tragedia della II guerra mondiale. Chissà se ha pensato alla sua storia personale quando, 16 anni dopo che la nazionale elvetica lo aveva buttato fuori dai mondiali agli ottavi, si ritrovava a partecipare (ed alla fine a vincere!) il campionato del mondo proprio grazie ai buoni uffici della Svizzera ed in casa loro.

Ma andiamo con ordine: le nazionali iscritte per questo mondiale furono 45, record dell’epoca. Sempre 16 le nazionali ammesse alla fase finale, con Uruguay (detentore) e Svizzera (padrone di casa) qualificate d’ufficio. Le altre partecipanti sarebbero state scelte tra 11 dell’Europa, includendo anche Turchia ed Israele (l’UEFA verrà fondata proprio durante i mondiali a Basilea), 1 del Sudamerica, 1 del Nord/Centro America ed 1 del resto del Mondo (nella fattispecie, solo l’Asia). Tale disparità, stavolta, si spiega con le iscrizioni: delle 37 nazionali che alla fine avevano accettato la formula di qualificazione, 27 erano Europee.

In Asia, dopo la rinuncia di Taipei, rimasero a fronteggiarsi solo Corea del Sud e Giappone. I coreani, seppur ancora sofferenti per la guerra civile, non ebbero problemi (5-1 a Tokio e 2-2 a Seoul) a qualificarsi. Nell’America del nord e centrale, invece, rimasero in tre a contendersi un Posto: USA, Haiti e Messico; quest’ultimo in un girone di andata e ritorno terminò facilmente a punteggio pieno. Da notare che gli USA, secondi, decisero di giocare entrambe le loro partite in casa… in trasferta (Città del Messico e Port-au-Prince) perché dato il periodo (si era nell’inverno ‘53/54) non era facile trovare stadi adatti per il calcio negli Stati Uniti. Bah! In Sudamerica, invece, si svolse per la prima volta da quando esisteva il campionato del mondo il girone di qualificazione. Senza l’Argentina, che ancora si rifiutava di partecipare, il Brasile ebbe vita facile contro Paraguay e Cile.

Rimanevano gli undici posti Europei. Nell’home championship Inglese 1953-54 che come quattro anni prima determinava le due qualificate della parte britannica, Inghilterra e Scozia, come al solito la fecero da padrone. Nei quattro gironi da due, L’Italia ebbe facilmente a meglio sull’Egitto, l’Austria sul Portogallo, l’Ungheria neanche dovette giocare contro la Polonia, ritirata, ed a sorpresa la Turchia ebbe la meglio sulla Spagna quarta nel 1950. Dopo una vittoria per parte ognuno a casa loro, lo spareggio si giocò a Roma il 17 marzo 1954. Tutto era pronto per la partita, quando dieci minuti prima ecco una persona che si presenta come delegato FIFA esibire un documento, nel quale si asseriva che il giocatore Kubala (un attaccante) non poteva giocare per gli iberici in quanto già presente in precedenti partite per la Cecoslovacchia e l’Ungheria (paese nel quale era nato). La Spagna, privata di un attaccante forte, pareggia a fatica 2-2 dopo i supplementari, e per sorteggio (all’epoca si usava così) il 14enne Franco Gemma, figlio di un custode della stadio, estrasse come qualificata il nome della Turchia. Ovviamente, il giorno dopo la FIFA si sbrigò a dire che non aveva assolutamente intenzione di vietare a Kubala di giocare, ma solo di allertare che ci sarebbero potuti essere dei problemi, e che a dirla tutta neanche la persona che si era presentata alla Spagna era un delegato FIFA. Situazione ingarbugliata e confusa, ancora non risolta del tutto. Solo grazie a questi accadimenti l’Italia fu protagonista del mondiale (la sua Nazionale fu solo una presenza anonima in quell’evento), e la Turchia, grazie ad un perverso meccanismo che dettaglieremo più avanti, fu testa di serie. Da come alla fine andranno le cose, chi ne uscì parecchio avvantaggiata, come vedremo, fu… la Germania Ovest.

Nei cinque gruppi da tre, che qualificavano solo la prima classificata, Francia (su EIRE e Lussemburgo), Cecoslovacchia (su Romania e Bulgaria), Yugoslavia (su Grecia ed Israele) si qualificarono agevolmente. La Germania Ovest si qualificò, ma dovette subire l’umiliazione di essere in un girone con un pezzo di se stessa, in quanto oltre alla Norvegia era presente, come Nazionale, il protettorato del Saar (regione tedesca ancora occupata dai Francesi, tale stato di cose terminerà solo nel 1957). In pratica, tedeschi contro tedeschi. La storia, poi, è come al solito una grande ed unica nemesi: CT del Saar era tale Helmut Schön, che vincerà poi il secondo mondiale per la Germania Ovest nel 1974. Sorprendente fu invece l’eliminazione della Svezia, terza classificata nel 1950, ad opera del Belgio in un girone comprendente anche la Finlandia. Le sedici finaliste, ad aprile 1954, erano così tutte decise. Peccato che formula e sorteggi si decisero alla fine di Novembre del 1953.

E’ possibile che il cervellotico criterio di determinazione delle teste di serie, e la demenziale formula scelta, non avranno più uguali all’interno del Campionato del Mondo di Calcio. Innanzitutto vediamo la formula: 4 gironi da quattro squadre, con due teste di serie ognuno. Le prime due di ogni girone avrebbero avuto accesso alla fase ad eliminazione diretta che partiva dai quarti di finale. Ma, e qui cominciano le perversioni, le teste di serie avrebbero giocato solo con le NON teste di serie, evitando lo scontro diretto. Oltretutto, in caso di pareggio al 90’, so sarebbero comunque giocati i tempi supplementari, e solo in caso di pareggio al 120’ si assegnava un punto a ciascuna delle due squadre (come era normale all’epoca c’erano due punti per la vittoria e zero per la sconfitta). In caso di arrivo a pari punti tra la seconda e la terza classificata, si sarebbe giocato un match di spareggio e solo in caso di risultato pari dopo il 120’ di questo si sarebbe proceduto al sorteggio. Non era finita: al fine della composizione dei quarti di finale, le quattro prime classificate finivano tutte nella parte alta del tabellone, e le quattro seconde nella parte bassa. Una formula perfetta per la creazione di “biscotti”, che come vedremo ci furono, e che produssero importanti conseguenze per le sorti della manifestazione.


Capitolo 2

Per quanto riguarda le teste di serie, Austria, Inghilterra, Ungheria, Uruguay e Francia furono prescelte. Le altre tre sarebbero venute fuori dal girone sudamericano (alla fine uscì fuori il Brasile), dallo scontro Italia Egitto (facile pronostico) e Spagna Turchia (qui ci fu la sorpresa, come abbiamo visto. Turchia testa di serie). Era strano il fatto che la Svizzera non fu scelta come testa di serie: unico caso di nazione ospitante non testa di serie.  Forse la scelta fu fatta perché gli incontro con due nazionali prestigiose avrebbero aumentato gi spettatori, o forse perché erano proprio scarsi… mah.

Le non Teste di serie furono quindi, oltre ai padroni di casa, la Germania Ovest non ancora (ma quasi) qualificata, Belgio, Cecoslovacchia, la Nord Americana, l’Asiatica, e poi la seconda dell’home championship (che poi, come abbiamo visto, fu la Scozia) e la vincente del gruppo della Jugoslavia. Insomma, quattro gironi, che furono alla fine composti così (le prime due sono le teste di serie):
Girone A: Brasile, Francia, Jugoslavia, Messico
Girone B: Ungheria, Turchia, Germania Ovest, Corea del Sud
Girone C: Uruguay, Austria, Cecoslovacchia, Scozia
Girone D: Inghilterra, Italia, Svizzera, Belgio.

Il pallone della manifestazione fu creato dalla ditta Kost Sport di Basilea, e fu il primo a 18 pannelli di cuoio: la tecnologia veniva sempre di più in aiuto di palloni sempre più sferici.

Cominciarono subito i “biscotti”: nel primo girone, mentre il Brasile maltrattava il Messico (i Brasiliani erano molto infervorati dopo la sconfitta del 1950, ed indossavano come vedremo la nuova maglietta Oro e Verde), la Jugoslavia batteva sorprendentemente la Francia. Nella seconda ed ultima giornata, era evidente che un pareggio, anche al 120’, avrebbe automaticamente qualificato Brasile e Jugoslavia, che giocavano insieme. E “stranamente” pareggio fu: Francia a casa, Brasile nel gruppo delle prime e Jugoslavia in quello delle seconde.

Biscotti ancora peggiori si fecero nel secondo girone. Dopo che la Germania Ovest maltrattò la Turchia per 4-1 e l’Ungheria la Corea del Sud per 9-0, il buon Herberger cominciò a farsi due conti: sapeva, dovendo giocare il giorno dopo, che se fosse arrivato primo avrebbe dovuto incontrare il Brasile, mentre fosse arrivato secondo la Jugoslavia. Oltretutto, battere l’Ungheria anche con i suoi migliori uomini era quasi impossibile, mentre nell’eventuale spareggio con la Turchia problemi non ce ne sarebbero stati, visto il risultato appena ottenuto. Schierò quindi contro l’Ungheria 8 riserve su 11, ma mascherando abilmente la cosa lasciando il capitano Fritz Walter a giocare (su tale giocatore torneremo in seguito: è il simbolo della rinascita sportiva e non solo della Germania), e soprattutto indicando al suo n. 10, Liebrich, di “seguire” il più forte degli Ungheresi, Puskas, ovunque. Lo fece così bene che gli ruppe una gamba. Gli Ungheresi affermano che tale cattiveria fu deliberata, e che ci aveva già provato due volte prima di riuscirci la terza. Può essere, di certo non sembra che i tedeschi opposero grande resistenza sportiva: il punteggio finale recitava 8-3 per i magiari, mentre i turchi segnavano sette gol ai coreani (che come risultato negativo battevano così la Bolivia, la quale aveva un record di 16 gol a zero in tre partite e due edizioni dei mondiali: agli asiatici era bastata un’edizione e due partite). Questo voleva dire spareggio Germania Turchia.

Non che avesse dubbi di vittoria sui Turchi, ma Herberger mise tutti quasi in clausura a Spiez, sul lago Thun (il cameratismo di quella squadra si sarebbe poi chiamato “spirito di Spiez”) e creò lo spirito di squadra leggendo loro ad alta voce i commenti sarcastici sulla loro disfatta contro l’Ungheria. Fritz Walter fu il suo braccio armato nello spogliatoio, come Zoff lo fu per Bearzot nel 1982. Questo giocatore simbolo, che aveva esordito nel 1940 in nazionale segnando una tripletta alla Romania, fu imprigionato dai sovietici alla fine della guerra e messo in un campo di concentramento, dove si buscò la malaria. Destinato alla Siberia, fu salvato da un soldato ungherese (!) che lo riconobbe e che disse ai Sovietici che lui era in realtà del Saar. Causa la malattia, quando c’era caldo non giocava mai bene, prediligeva anzi le giornate di pioggia, dove dava il meglio di se, tanto che quando si giocava durante un rovescio, i tedeschi erano contenti perché c’era il “FritzWalterwetter”. Chiuso e taciturno, nel ritiro di Spiez non fu messo da Herberger assieme al suo più giovane fratello Ottmar (primo caso di due fratelli che vincono un mondiale assieme) ma col chiacchierone e rumoroso Rahn. Odiato come carattere dal CT, ma tremendamente efficace al tiro, che infatti forzava molto, vedremo poi con quali risultati. Rahn non partiva titolare (aveva la maglia n. 12), ma la sua bella partita nella disfatta contro gli Ungheresi gli diede il posto definitivo in squadra. Per farla breve, il 23 giugno la Germania vinse 7-2 contro l’Ungheria (prima partita dei mondiali in cui segnarono due fratelli, nella fattispecie i due fratelli Walter).
I primi quarti di finale sarebbero stati quindi Brasile-Ungheria nella parte alta e Germania-Jugoslavia in quella bassa. Che formula strana…

Il terzo girone fu decisamente più semplice: Uruguay ed Austria ebbero facilmente la meglio su Cecoslovacchia (l’ombra della fortissima formazione di venti anni prima) e Scozia (Arrivata con soli 13 giocatori, tra cui due portieri, perché il Rangers Glaslow si era rifiutato di dare i suoi per la nazionale). Nessuna rete subita dalle due teste di serie, ma l’Uruguay segnò tre gol in più e passò per primo.

Il quarto girone vide l’Inghilterra primeggiare (4-4 con I Belgi, ma dopo che al 70’ conduceva 3-1, e 2-0 ai padroni di casa), e la Svizzera passare per seconda dopo che aveva battuto l’Italia per 2-1 nella prima giornata e 4-1 nello spareggio. L’Italia, squadra debole sia in quanto ancora prigioniera sia di un modulo non suo (il WM), sia perché con il fiorire di stranieri nel campionato, tanto da costringere gli italiani a ruoli di rincalzo, non aveva uomini di livello, riuscì a portarsi allo spareggio con gli Svizzeri battendo il Belgio 4-1, ma crollò alla fine con gli elvetici. Come è tipico, si sprecarono le recriminazioni e i sospetti verso l’arbitro (soprattutto nella prima partita, fu annullato un gol per fuorigioco agli azzurri sull’1-1 che era quantomeno dubbio), senza rendersi conto che ormai ci si era ridotti al rango di nobile decaduta. Nel 1958 tale situazione si mostrerà in tutta la sua chiarezza.


Capitolo 3

Il quarto tra Ungheria e Brasile, giocato il 27 giugno, è quello passato alla storia come “la battaglia di Berna”. L’Ungheria, anche se priva di Puskas, sostituito da Toth, era sempre fortissima, con i suoi Hidegkuti ed i suoi Kocsis (capocannoniere alla fine con 11 gol: allora era record). Il Brasile, dopo il “maracanazo” (così veniva chiamata la sconfitta clamorosa del 1950) decise che doveva cambiare tutto: se prima i giocatori venivano accusati di essere poco patriottici, adesso vivevano ogni partita come una battaglia per l’onore della propria nazione, baciando la bandiera e subendo la pressione dei milioni di brasiliani che si aspettavano da loro questa vittoria tanto agognata.

La maglietta bianca era stata sostituita da una gialla con colletto verde e pantaloni blu, frutto di un disegno commissionato da un giornale sportivo e presentato alla Federazione, che l’accettò. Insomma, ci si aspettava, contro gli ungheresi, una vittoria e null’altro. I brasiliani dovevano scoprire però quanto i metodi di allenamento (i magiari entravano in campo venti minuti prima per il riscaldamento, cosa che allora non faceva nessuno, ad esempio) e il rispetto delle posizioni in campo (a dispetto dei tentativi di dare ordine ai giocatori, i brasiliani erano sempre abbastanza anarchici in quanto a tattica) fossero preminenti rispetto all’abilità con la palla. Sotto di 2-0 già al 7’, accorciarono le distanze al 18’ con un rigore trasformato da Djalma Santos.

Il primo tempo terminò così. L’arbitro inglese Ellis, convinto di vedere una delle più belle partite del mondo, dovette però ricredersi nella ripresa: al 60’ diede un rigore all’Ungheria che creò il panico: non solo i giocatori brasiliani protestarono violentemente, ma tecnici ed anche giornalisti brasiliani entrarono in campo minacciando arbitro ed avversari. La rissa fu sedata dall’intervento, addirittura, della polizia. Da quel rigore trasformato del 3-1 cominciò una violenta caccia all’uomo ed ogni contrasto si trasformò in lotta ed in volontà di fare male all’avversario: i verdeoro accorciarono le distanze al 65’; sei minuti dopo una rissa tra Bozsik e Nilton Santos terminò con l’espulsione di entrambi.
La partita continuò tra falli assassini e calcioni, con l’arbitro che dopo riferirà: “Non so se c’entrasse la politica, la religione, o cos’altro, ma si comportarono tutti come bestie. Fu una sciagura, un match orribile. Oggi sarebbero stati cacciati così tanti calciatori da sospendere il match. All’epoca il mio unico desiderio era di terminare la partita”. E terminò, con gli ungheresi a segnare il 4-2 all’88’ ed il brasiliano Humberto Tozzi cacciato un minuto dopo.

E non finì qui. I Brasiliani andarono negli spogliatoi per continuare la rissa, loro ad attaccare e gli Ungheresi a rispondere; e tutto degenerò in una lotta senza quartiere. Puskas brandì una bottiglia vuota e la lanciò, i brasiliani risposero con altre bottiglie e ci furono feriti anche seri. Il CT Ungherese Sebes ebbe una ferita al volto che richiese 4 punti di sutura.
Alla fine, la polizia Svizzera dovette intervenire anche li. Il corrispondente del Times, con una punta di autocompiacimento tipica british quando si parla di pallone, scrisse: “Non ho mai visto nulla del genere in vita mia, con entrate feroci sulle gambe, falciate in continuazione delle gambe gli avversari, atteggiamenti minacciosi, sputi in viso e pugni tirati nel momento in cui l’arbitro era impegnato nel sedare altre risse”.

Un giornale Norvegese afferma che ad iniziare la rissa furono gli Ungheresi, e che i Brasiliani replicarono in termini decisamente più forti, ma fu il solo. In genere la colpa del tutto la si da ai sudamericani. Questi, dopo la consueta lamentela del loto CT (che affermò che non meritavano di perdere) si demoralizzarono: né la mancanza di patriottismo, né l’eccesso di questo gli faceva vincere il Campionato del Mondo. Cosa avrebbero dovuto fare? Dopo quattro anni l’avrebbero scoperto. Inspiegabilmente, comunque, la FIFA non prese provvedimenti. Il pragmatico Rimet decise che comunque lo spettacolo doveva continuare. “Spero che la finale non sia un altro spettacolo del genere – chiosò l’ignoto giornalista del Times – altrimenti sono contento che le squadre britanniche siano fuori da tutto questo”.

Il reporter applicava la favola della volpe e l’uva. Nell’altro quarto di finale giocato il giorno prima, 26 giugno, L’Uruguay vinse infatti facilmente con l’Inghilterra per 4-2, con almeno tre gol della Celeste, secondo le cronache, che furono “gentili omaggi” del portiere Matthews. Le foto mostrano alla fine della partita gli uruguaiani consolare gli inglesi: caduto con la famosa partita di Wembley il loro senso di superiorità, avevano ceduto fin troppo facilmente ai campioni del mondo uscenti. Ora, la semifinale Ungheria-Uruguay prometteva spettacolo, con la squadra più forte del mondo, priva ancora di Puskas, stanca e ferita, e gli uruguaiani decisi a difendere il titolo dopo una partita dove avevano mostrato la loro superiorità anche agli “inventori” del gioco.

I quarti di finale dei secondi furono anche questi diversissimi: Se la Germania Ovest si sbarazzò con un 2-0 con due gol ad inizio e fine partita (e Herberger caricò i suoi dicendo: “siamo solo ad una partita dalla finale, ragazzi”), tra Austria e Svizzera si giocò il match fino ad ora con più reti della storia della fase finale del Mondiale: al 19’ la Svizzera era avanti 3-0, al 34’ l’Austria era avanti 5-3. La partita terminerà poi 7-5, con altri due gol per parte. La piccola nazione austriaca aveva partecipato a due mondiali fino adesso, ed in entrambi i casi era riuscita a raggiungere le semifinali.

Ma la fatica comincia a farsi sentire: la Germania Ovest è troppo riposata e preparata atleticamente per questi mondiali. Herberger, racconta Ottmar Walter, li sottoponeva addirittura a quattro sessioni di allenamento al giorno. Anche questo gli ha consentito di distruggere l’Austria, il 30 giugno del 1954, per 6-1. 4 gol dei fratelli Walter hanno garantito ai tedeschi, che adesso cominciavano a sapere di avere una nazione dietro, l’accesso alla finale.

Fu l’altra semifinale quella più combattuta: dopo i 90’ regolamentari Uruguay ed Ungheria erano fermi sul 2-2, con la mezzala sudamericana Hohberg a pareggiare, nell’ultimo quarto d’ora, il doppio vantaggio segnato da Czibor e Hidegkuti. Ci vollero i supplementari. Le immagini mostrano che al di la degli schemi e dei moduli, ormai saltati, contava la prestanza fisica: e l’Ungheria, che tra i suoi allenamenti aveva anche il calcio tennis, da questo punto di vista era molto più avanti dei sudamericani, che alla fine capitolarono: due reti di Kocsis al 6’ ed all’11’ del secondo tempo supplementare, entrambe di testa, sancirono la perdita dell’imbattibilità ai campionati del mondo dell’Uruguay e la consacrazione dell’Ungheria come forza egemone del calcio. 32 partite senza sconfitte. Un record difficilmente battibile.

L’Uruguay, demotivato, perse anche la finalina per 3 a 1 contro l’Austria (miglior risultato per la piccola nazione europea). Ma ormai poco importava: per quasi tutti, l’Ungheria era già campione in quanto aveva vinto la “vera finale”.

Nessuno si preoccupava più di tanto della giovane Germania Ovest; del resto la avevano già battuta (e per 8-3!) nei gironi eliminatori. Il portiere ungherese Grosics affermò che non vi erano dubbi, all’interno della squadra, sulla vittoria nella manifestazione, che è a tutt’oggi quella con la più alta media gol per partita (oltre 5).


Capitolo 4

Sepp Herberger era l’unico a non darsi per vinto. Il 4 luglio del 1954 a mezzogiorno cominciò a piovere: era il perfetto “fritzwalterwetter”: i tedeschi lo considerarono un buon segno. Il CT contattò il calzolaio che gli produceva gli scarpini, tale Adi Dasler che diventerà poi discretamente famoso nel mondo dell’abbigliamento sportivo, per avere delle scarpe da gioco con i tacchetti ad altezza regolabile: nel pantano che il campo sarebbe diventato con la continua pioggia, avere tacchetti più alti poteva essere un vantaggio.

Entrambe la squadre sentivano molto questa partita, per ragioni di patriottismo: per gli Ungheresi era una maniera di affermare la propria nazione indipendentemente dal regime comunista (anche se ricordiamo che il loro allenatore Sebes era organico e come al partito), per i tedeschi era la prima occasione, dopo quasi dieci anni di vergogna, di tornare ad essere orgogliosi come popolo. Non era la prima volta che l’inno tedesco era suonato al di fuori del confine, ma era di sicuro la prima volta importante: ed i volti tirati ed emozionati dei giocatori in bianco lo confermano. Herberger confermò Rahn, mentre Puskas insistette per giocare, anche se non ancora completamente ristabilito: la coppa del mondo la voleva sentire sua.

Il Match fu seguito da 60.000 persone sugli spalti e, essendo tale finale trasmessa per la prima volta in televisione, da parecchie persone anche da casa. Non in Germania, però, dove gli apparecchi televisivi erano in tutto meno di 2.000 e ci si accalcava quindi alla radio, dove il cronista Herbert Zimmermann narrava a tutti i tedeschi la partita.

Che cominciò male, per i bianchi: dopo aver dato il calcio d’inizio, ed avere, con Rahn, effettuato un tiro poco sopra la traversa, al 6’ devono subito capitolare: affondo di Hidegkuti, rinvio non perfetto della difesa tedesca, Kocsis entra in area, un rimpallo la manda a Puskas che dal lato sinistro batte imparabilmente il portiere Turek: 0-1! E non finiva qui: di nuovo Hidegkuti in area, viene anticipato da Kohlmeyer che la passa indietro a Turek. Il portiere non si aspettava tale passaggio, il malinteso tra i due è evidente e Czibor è lesto ad approfittarne, mettendo nella rete incustodita il pallone: 0-2!

E’ solo l’ottavo, ma la partita sembra già segnata. Il cronografo Longines che svetta sulla torre dello stadio (circondato da sponsor quali Cinzano e Cioccolato Tobler) segna impietoso tempo e risultato. Fino ad adesso, è la riedizione della partita dei gironi. Ma al 10’ cambia qualcosa: un cross rasoterra di Rahn dalla sinistra, abbastanza innocuo, viene completamente lisciato, con un goffo tentativo di intervenire in scivolata VERSO la propria porta, dal “libero” ungherese Zacharias, lasciando Morlock tutto solo davanti a Grocsis: tiro e gol: 1-2! Ed è solo il 10’.

Si vede chiaramente dalle immagini di quella partita come la difesa ungherese sia tutto tranne che impenetrabile: solo l’enorme talento del suo parco d’attacco mascherava la fragilità del reparto arretrato: del resto, anche nella storica partita di Wembley, vinta per 6-3, a fronte di 35 tiri (!) fatti dai magiari, gli inglesi riuscirono a calciare verso la porta solo 5 volte: ma fecero tre gol. Ed in questa edizione del mondiale, alla fine, presero ben 10 reti in 5 partite. Ma torniamo alla partita: dopo un’occasione per Puskas, che tira a lato da comoda posizione, la Germania attacca al 17’ con Morlock e guadagna un calcio d’angolo. Tira Fritz Walter sul primo palo ed è di nuovo angolo. Stavolta, il campione tedesco crossa alto sul secondo palo. Il portiere Grosics, ostacolato da Schafer, smanaccia sui piedi di Rahn, che da due passi pareggia: 2-2! Le immagini mostrano chiaramente che nessuno protesta, anche se Grosics in sede di memorie dirà che Schafer gli aveva confessato il fallo, fatto su “ordine” di Herberger. Secondo noi non era fallo, comunque, almeno, non più dei tanti che si fanno in area in casi del genere. Era il 18’, e la partita doveva ricominciare da capo.

Comincia da adesso lo show del portiere tedesco Turek: un’uscita spettacolare su Puskas al 23’, tuffo spettacolare nel sette su tiro al volo di Hidegkuti al 25’, palo clamoroso di Kocsis al 27’. Ma su un contropiede tedesco, Schafer costringe ad una clamorosa parata il tuffo Grosics. E’ il 41’, e la partita è bellissima. La voce di Zimmermann entrerà nelle orecchie e nei cuori dei tedeschi e si farà storia. E’ il calcio nella sua totale bellezza.

L’azione da coraggio alla Germania, che termina in attacco il primo tempo. Nell frattempo, comincia a montare il “grande mistero”: è vero che i giocatori tedeschi vennero tutti dopati con metanfetamine, e che questo gli causò un’epatite virale generalizzata? I tedeschi hanno sempre affermato che vennero fatte loro delle iniezioni di vitamina C prima del match (ma con una sola siringa: il morivo dell’epatite è questo, molto probabilmente). Secondo chi scrive, il doping è poco probabile: gran parte dei partecipanti tedeschi a quella spedizione morì in tarda età, e del resto era inutile fare metanfetamine a così breve distanza temporale dalla partita. E’ però altrettanto vero che la vitamina C non poteva avere chissà quale effetto… la verità non si saprà mai.

Il secondo tempo comincia con Puskas che si divora un gol solo davanti al portiere tirandogli addosso. Al 10’, la migliore occasione magiara: Hidegkuti passa a Kocsis, che allarga le gambe e fa passare la palla verso Toth, che tira: Turek respinge sui piedi del n. 20 ungherese, che stavolta lo dribbla e tira a botta sicura verso la porta vuota: con la gamba, Kohlmeyer salva sulla linea! I due responsabili del disastro sullo 0-2, salvano miracolosamente la baracca. E pensare che negli spogliatoi avevano iniziato a litigare furiosamente su chi fosse da colpevolizzare per il secondo gol: furono violentemente fermati da Herberger che gridò loro: “Volete capire di chi è la colpa o volete essere campioni del mondo? Dovete essere amici!” Lezione recepita, e Germania salva. Due minuti dopo, cross di Toth (di nuovo) e Kocsis di testa prende la traversa!. Partita stregata per i poveri ungheresi, decisamente.

La partita, col la pioggia che continua a scendere, assume sempre più l’atmosfera adatta a Fritz Walter. Rahn, per ben tre volte, non appena ha la palla al limite dell’area, forza il tiro. In tutti i tentativi Grasics è attento. Al 78’, altra occasione per i magiari: Kocsis solo davanti a Turek, che esce a valanga sui piedi del n. 11 ungherese e respinge il pallone, ma sui piedi di Hidegkuti, che tira fuori.
Sei minuti dopo, lo show down: su una corta respinta di testa, la palla è a Rahn al limite dell’area. Ma lasciamo che siano le parole di Zimmermann a raccontarci come andarono le cose: “Palla a Rahn, da li dovrebbe tirare… Rahn prepara il tiro, tira… Gol! Gol!! Gol!!! Gol!!!! Gol per la Germania! Mancano cinque minuti e la Germania sta vincendo tre a due: chiamatemi pazzo, chiamatemi matto!”. Rahn aveva preso la palla e dopo, un dribbling, aveva al suo solito forzato il tiro: ma stavolta aveva preso l’angolino giusto alla destra di Grosics. 3-2! Quei quattro “Tor!” (Gol in tedesco), seguiti da 5 secondi di silenzio e poi dalle urla di gioia totale di Zimmermann conquistarono definitivamente la Germania: dopo nove anni, si poteva di nuovo dire “Deutschland” con orgoglio!

Ma non è finita: un minuto dopo, un cross dalla destra trova Puskas solo davanti a Turek, lo anticipa e segna: ma l’arbitro annulla per un fuorigioco che, se c’era, era millimetrico. “Keine Tor!” urla, ormai in piena fase orgasmica, Zimmermann.
Al 90’ l’ultima paura: Czibor tira sul primo palo, ma Turek è attento. La partita finalmente finisce. “Aus! Aus! Der spiel ist aus! Deutschland ist Weltmeister!” urla Zimmermann (E’ finita! La partita è finita! La Germania è campione del mondo!)
Jules Rimet, che si era appena dimesso da presidente della FIFA per assumerne la presidenza onoraria (le federazioni continentali si stavano formando, e lui era sempre stato contrario a questa cosa), consegnò la Coppa che portava il suo nome a Fritz Walter. Sarà la sua ultima volta: il creatore della Coppa del Mondo morirà due anni dopo.

Walter porterà poi la coppa a Herberger, e tutta la delegazione tedesca, mano nella mano, ascolta l’inno tedesco suonato per celebrare una vittoria: la nazione era ufficialmente rinata. Racconta Eckel, uno dei partecipanti, che alla stazione di Singen, la prima in Germania passato il confine Svizzero, trovarono 20.000 persone ad aspettarli, e quella cittadina aveva solo 1.000 abitanti!

Per gli Ungheresi, da quel momento, la vita cominciò invece ad essere più difficile. Il caso peggiore fu del portiere Gorcsis, arrestato per diversi mesi con vaghe accuse di spionaggio per poi essere costretto a passare dalla Honved ad una squadra minore. Nel 1956, allo scoppio della rivolta, la nazionale ungherese non ritornò immediatamente in patria, ed alcuni (ad esempio Puskas) rimasero all’estero. Ma questa è una storia, drammatica, che esula da quella dei mondiali.

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