La grande storia dei mondiali: Germania Ovest 1974

Le sedi per la decima, undicesima e dodicesima edizione della fase finale dei Campionati del mondo di calcio vennero decise in un’assemblea della FIFA tenutasi il 6 luglio del 1966, quattro giorni prima dell’inizio del mondiale Inglese...
di Cesare Gigli

Capitolo 1

Le sedi per la decima, undicesima e dodicesima edizione della fase finale dei Campionati del mondo di calcio vennero decise in un’assemblea della FIFA tenutasi il 6 luglio del 1966, quattro giorni prima dell’inizio del mondiale Inglese. Per l’Europa si presentarono Spagna e Germania Ovest, per le Americhe la solita Argentina e, di nuovo, il Messico, che declinò in quanto aveva ricevuto, due anni prima, l’organizzazione dei mondiali del 1970. Un gentlemens' agreement tra le due nazioni europee (decisero di non competere contemporaneamente per la stessa edizione) fece si che senza troppe votazioni, vennero scelte rapidamente le nazioni fino al 1982: nel 1974 sarebbe toccato alla Germania Ovest (e per la seconda volta consecutiva la nazione che ospitava le olimpiadi due anni prima avrebbe poi organizzato il mondiale), nel 1978 (finalmente!) all’Argentina, nel 1982 alla Spagna. Queste ultime due edizioni si sarebbero giocate, però, in nazioni che erano molto diverse da quelle che brigarono per ottenere l’assegnazione: un feroce regime militare in Sudamerica, ed il ritorno ad una democrazia costituzionale (con il ritorno dei Borboni sul trono) per la nazione europea. Ma stiamo correndo troppo avanti: sarà materia dei prossimi mondiali.

Prima ancora, però di vedere il calcio giocato (e, di nuovo, la politica che ormai si collegava ad esso) è interessante raccontare cosa successe alla “coppa”. Assegnata definitivamente la Coppa (prima “della vittoria”, poi “Jules Rimet”) al Brasile per averla vinta tre volte, si poneva il problema di realizzare un nuovo trofeo per la manifestazione. Furono presentati 53 progetti, e agli inizi del 1972 venne scelto quello di uno scultore italiano, Silvio Cazzaniga da Paderno Dugnano, che creò quella che da allora è chiamata la Coppa FIFA. Più grande e più pesante della coppa Rimet (è alta 37 centimetri e pesa più di 6 chili) è fatta d’oro a 18 carati (ma è cava: si è calcolato che se fosse piena peserebbe oltre 80 chili) con una base composta da due strisce di malachite verde. Reca nella parte sottostante lo spazio per iscrivere i nomi dei vincitori del mondiale e l’anno dell’edizione. Fu deciso di non assegnarla definitivamente, ma di dare ad ogni nazione vincitrice una replica di essa alla riconsegna della coppa nell’edizione successiva. La coppa ha spazio per iscrivere i nomi dei vincitori almeno fino al 2038: dopo si vedrà.

Le nazioni iscritte furono 99: un’enormità rispetto alle precedenti edizioni. I sedici posti disponibili, data la qualificazione d’ufficio alla Germania Ovest nazione ospitante ed al Brasile campione uscente, sarebbero stati assegnati nella seguente maniera: 8 all’UEFA, 2 alla CONMEBOL, 1 alla CONCACAF, 1 alla CAF (Confederazione Africana), 1 alla AFC/OFC (Asia ed Oceania insieme) ed 1 da assegnare in un spareggio intercontinentale tra un’europea (estratta a sorte tra i vincitori dei gironi da tre squadre) ed una sudamericana (estratta a sorte tra una delle tre vincitrici dei gironi). Le partite di qualificazione giocate diventarono così 226: oltre sei volte tanto quelle della fase finale. Si iniziò a giocare a fine del 1971 per terminare esattamente due anni dopo, nel novembre del 1973.

Il girone Asiatico e dell’Oceania aveva 18 iscritti (15 squadre che parteciparono effettivamente). Le nazioni vennero divise in due gruppi (uno da 7 squadre ed uno da 8 ) su base geografica e politica (ad esempio le due coree vennero separate, così da farle incontrare eventualmente solo nella partita decisiva) i cui vincitori si sarebbero scontrati in una finale di andata e ritorno per decidere la squadra qualificata per la Germania. Il gruppo da 7 ebbe un mini torneo giocato interamente a Seoul che vide uscire vincitore  proprio la Corea del Sud, mentre quello da 8 nazioni (giocato in Iran ed in Oceania, tra Sydney e Auckland in Nuova Zelanda) vide prevalere, dopo due partite di finale, l’Australia sull’Iran. La nazione Australiana vinse poi (ma ci volle uno spareggio ad Hong Kong) contro la Corea del Sud ed ottenne così la sua prima qualificazione per i mondiali di calcio.

Più articolata la qualificazione della confederazione Africana: le 24 squadre si sarebbero scontrate, in partite di andata e ritorno, in tre turni di eliminazione diretta. Le tre squadre rimanenti avrebbero giocato un girone con partite di andata e ritorno, ed il vincitore avrebbe staccato il pass per i mondiali. Ne uscì vincente lo Zaire, altra neofita della manifestazione, che avrebbe oltretutto confermato la supremazia continentale vincendo anche la coppa d’Africa nel 1974, solo tre mesi prima del debutto ai mondiali. Come vedremo, era ancora, comunque, un calcio molto primitivo.

La CONCACAF decise invece che la vincente del suo torneo continentale (che poi era solo del centroamerica, essendosi USA e Canada non iscritti) avrebbe guadagnato l’accesso alla fase finale dei mondiali. Assente El Salvador, dopo la sua apparizione nel 1970, per le vicende politiche dette, il torneo, cui parteciparono sei nazionali, si risolse sorprendentemente a favore di Haiti, che ebbe la meglio sul più quotato Messico. Dai quarti di finale al mondiale di casa a neanche qualificarsi: il declino dei verdi fu abbastanza rapido.
La CONMEBOL organizzò, come detto, tre gironi da tre, che videro prevalere, oltre alle solite Argentina ed Uruguay, il Cile dopo uno spareggio con il Perù, sorpresa dell’edizione 1970. La squadra cilena venne poi estratta per il sorteggio con la squadra europea.

E veniamo all’UEFA: 32 squadre iscritte (ovviamente esclusa la Germania Ovest), divise in 5 gruppi da 4 e 4 gruppi da tre (tra i quali sarebbe stata estratta la squadra che doveva poi fare lo spareggio con il Cile). Partite di andata e ritorno. Nei gironi da 4 squadre prevalsero Svezia (dopo spareggio con l’Austria), l’Italia (che non subì neanche un gol: era nato il mito dell’imbattibilità del nuovo portiere titolare italiano: Dino Zoff, che a 30 anni trovava finalmente la sua consacrazione anche a livello internazionale), l’Olanda (su questa squadra e sulla novità che portava nel calcio torneremo in seguito), ma solo per differenza reti contro il Belgio: a parità di punti, l’Olanda chiudeva con uno score di 24 reti fatte e 2 subite, ed il Belgio di 12 reti fatte e… zero subite. Unico caso di squadra che non si qualifica per i mondiali senza perdere una partita e senza subire un gol. Le altre squadre furono la Bulgaria e addirittura la Germania Est. Dopo infatti un tentativo del regime comunista di eliminare il calcio come sport, ed una decisa opposizione della popolazione che invece si appassionava sempre di più, la squadra della Repubblica Democratica tedesca riusciva ad avere la sua unica qualificazione ai mondiali proprio nell’edizione che era quasi “di casa”.

I gironi da tre videro invece prevalere URSS, Jugoslavia (dopo uno spareggio con la Spagna), Scozia e Polonia. Quest’ultima a spese dell’Inghilterra, dopo due incontro giocati al limite della rissa, dove cominciava ad affermarsi un giovane portiere: Jan Tomaszewski che per il suo modo di fare il portiere (non bloccava quasi mai la palla, e si muoveva molto in porta) fi soprannominato dagli inglesi “il clown”. Di certo non fece ridere il loro coach Alf Ramsey, però: il CT che li aveva portati alla vittoria del 1966 fu giubilato dopo una violenta campagna di stampa dovuta anche ai suoi bruschi modi di apostrofare i giornalisti. La nazionale estratta per lo spareggio col Cile fu l’URSS; questo voleva dire che Olanda e Polonia sarbbero riapparse in una fase finale dei mondiali dopo 36 anni (l’ultima volta nel 1938, con l’Olanda subito eliminata e la Polonia autrice con il Brasile di un rocambolesco 6-5 per i sudamericani). Ma se per l’Olanda si preannunciava un mondiale da protagonista grazie alle vittorie del Feyenoord e soprattutto dell’Ajax in campo europeo, la Polonia era un oggetto misterioso.


Capitolo 2

L’andata dello spareggio, a Mosca, finì 0-0, e tutto si sarebbe dovuto decidere nella gara di ritorno. Ma il Cile, che era appena reduce dal colpo di stato militare di Pinochet, decise di eleggere come sede della partita quell’Estadio Nacional che durante i giorni del golpe era diventato prigione politica e luogo di torture e di assassini, soprattutto degli oppositori socialisti e comunisti seguaci di Salvador Allende il deposto, e morto forse suicida forse assassinato, presidente della Repubblica. I sovietici decisero di boicottare così la partita (forse calcolo politico, ma non ci sentiamo di condannare il gesto) ed il regime Cileno chiamò 20.000 attoniti spettatori allo stadio per vedere il Cile che giocava contro… nessuno. La squadra entrò in campo, fece 12 passaggi, diede il pallone al suo capitano che segnò nella porta spalancata con un tiro da 15 centimetri. Cile qualificato, anche se nella maniera più surreale che si possa immaginare.

I sorteggi si tennero all’inizio del 1974: la Adidas, ormai sponsor non solo del pallone della manifestazione (il Telstar Durlast, che non si distingueva molto dal Telstar di quattro anni prima, solo un rivestimento di poliuretano per renderlo più idrorepellente ed il nome dello sponsor in nero anziché in oro, ne fu fatta anche una versione bianca, chiamata “Cile”, che ricordava il pallone del 1962), ma anche di parecchie nazionali, cominciava ad essere decisiva anche a livello di lobby: la lotta tra Rous, presidente FIFA dell’epoca, ed Havelange, il presidente della federazione brasiliana che cercava di prendergli il posto, era soprattutto una lotta a chi si accaparrava le grazie di questa importante azienda. E cominciò proprio durante la riunione che annunciò, assieme al sorteggio, la formula: dopo la fase a gruppi, veniva eliminata la fase ad eliminazione diretta per creare ulteriori due gruppi chiamati A e B (formati uno dalle prime dei gruppi 1 e 3 e dalle seconde dei gruppi 2 e 4, e l’altro dalle altre quattro nazionali qualificate) che avrebbero deciso la finale (prima del gruppo A contro la prima del gruppo B) e la finalina (le seconde dei gruppi). Ufficialmente il motivo fu il fatto che con l’eliminazione diretta il gioco diventava più aggressivo essendo partite da dentro o fuori, in realtà, con l’aumento delle partite da 32 a 38 venivano garantiti più incassi televisivi. Il successo della manifestazione, infatti, non si misurava più soltanto con la presenza degli spettatori allo stadio, ma anche dagli incassi televisivi. Quell’”anche” diventerà presto un “soprattutto”.

Come al solito, quattro fasce (Europa 1 con Italia, Germania Ovest, Olanda, Scozia; Europa 2 con Germania Est, Polonia, Bulgaria, Jugoslavia; Sudamerica con brasile, Uruguay, Cile, Argentina, resto del mondo con Haiti, Zaire, Australia e Svezia, ritenuta la più debole delle europee) e teste di serie “trasversali” (le quattro nazionali con almeno un mondiale vinto). La sorte si divertì a comporre il seguente tabellone:
Gruppo 1 con Germania Ovest, Germania Est, Cile ed Australia (ci sarebbe stato il “derby”)
Gruppo 2 con Scozia, Jugoslavia, Brasile, Zaire;
Gruppo 3 con Olanda, Bulgaria, Uruguay, Svezia;
Gruppo 4 con Italia, Polonia, Argentina, Haiti.

Le polemiche cominciavano a farsi sentire: la Germania Ovest pretese ed ottenne un aumento dei premi partita (da 30.000 a 70.000 marchi a testa), con la disapprovazione del CT Schoen, che riteneva, lui tedesco orientale rifugiatosi ad ovest, che giocare per la propria nazione fosse ancora un onore (ma solo un giocatore si schierò con lui: il maoista, all’epoca, Breitner); la Scozia, che ritenne basso l’importo di sponsorizzazione dell’Adidas, coprì con pecette il marchio dell’azienda, e Crujiff, che era sponsorizzato dalla Puma, che si rifiutò di indossare maglie Adidas, ufficialmente perché “quelle tre strisce rovinano la nostra maglia”. Si trovò un compromesso: la maglia di Crujiff ne avrebbe avute solo due. Quanto era cambiato il calcio in soli venti anni!

Due giorni prima dell’inizio del mondiale, l’ultimo colpo di scena: con il supporto delle nazioni africane ed asiatiche, e la benevola neutralità dell’Adidas, Havelange rubò il posto a Rous, dando così inizio a 24 anni di presidenza FIFA molto discussa. Riuscì a conquistare le nazioni emergenti promettendo l’allargamento delle squadre partecipante alla fase finale dei mondiali. Ma, finalmente, tutto era pronto per iniziare a giocare, nonostante il tempo infame che condizionerà gran parte del torneo.

La partita inaugurale fu nel gruppo 2 tra i campioni uscenti del Brasile e la Jugoslavia: sotto la pioggia il Brasile, che aveva affidato la maglia n. 10 orfana di Pelé a Rivelino, non andò più in la di una sterile supremazia territoriale, conquistando un enorme numero di punizioni dal limite, ma senza riuscire a sbloccare la situazione. Fu anzi la Jugoslavia, in uno dei rari contropiedi verso la fine della partita, a colpire un palo ed a rischiare di vincere. Finì 0 a 0, ed era la terza volta consecutiva che la prima partita dei mondiali si chiudeva a reti inviolate. Nell’altra partita del match, la Scozia sconfiggeva agevolmente lo Zaire per 2 a 0.

Esemplare di come la nazionale africana fosse completamente inadatta a giocare a certi livelli è la realizzazione del secondo gol: punizione dalla tre quarti di capitan Bremner, e Jordan (si, proprio lo “squalo”) si trova da solo in area a fare il più facile dei colpi di testa. La difesa dello Zaire immobile al limite dell’area a non si sa bene difendere cosa. Nonostante questo, il colpo di testa è una delle cose più oscene mai viste: poco più di un passaggio al portiere. Questi, riportiamo il nome per dovere di cronaca, Kazadi Muamba, tratta la palla come una saponetta, la lascia docilmente scivolare verso la rete. Il risultato non cambierà più da 34’ del primo tempo, nonostante la Scozia ebbe innumerevoli altre occasioni, e la nazionale britannica rimpiangerà amaramente non aver segnato altre reti.

Nella seconda giornata Brasile e Scozia pareggiarono 0 a 0 (incredibile: il Brasile ancora non aveva segnato dopo due giornate), mentre la Jugoslavia seppelliva sotto nove gol a zero lo Zaire. Dopo il terzo gol, il povero portiere africano chiese la sostituzione: era depresso per l’ennesima brutta figura. (quella di Mobutu che telefona per ordinare il cambio è una leggenda metropolitana).

Diventava decisiva la terza giornata: il Brasile faceva “solo” tre gol allo Zaire in una partita surreale. Qui ci fu l’episodio, arcinoto, più divertente dei mondiali: punizione dal limite per il Brasile, Rivelino prende la sua lunga rincorsa ma dopo il fischio esita. Il n.2 africano, tale Ilunga (si chiamava proprio come l’iniziale della Juventus) vista la palla ferma ed il fischio dell’arbitro Rainea pensa che il tutto sia in gioco. Esce dalla barriera e da un calcione alla palla spazzando la sua metà campo. Rainea, ammonendolo, rideva come un bambino. Anche qui, la leggenda che vuole Mobutu concedere ai giocatori “solo” tre gol al Brasile per garantirgli la qualificazione altrimenti loro e le loro famiglie sarebbero stati uccisi è, appunto, una leggenda: non esistono prove in tal senso, e soprattutto se vediamo il terzo gol fatto dai verdeoro (l’ennesima papera di Kazadi Muamba) tutto fa pensare che non sentissero questa partita come una questione di vita o di morte. Ma la partita che avrebbe deciso la qualificazione alla seconda fase ai gironi era l’altra. Che finì 1-1 con due gol negli ultimi 10’. Per la differenza reti passarono Jugoslavia come prima e Brasile come secondo.

La Scozia avrebbe rimpianto amaramente l’aver segnato solo due reti allo Zaire. Interessante notare come, con le regole attuali (differenza reti negli scontri diretti), la nazionale eliminata sarebbe stata il Brasile, che aveva fatto due 0-0. Si potrebbero qui aprire molti discorsi sui “biscotti” possibili col presente regolamento, ma vedremo nella prossima edizione che anche questo meccanismo della differenza reti non era esente da rischi del genere.


Capitolo 3

Il Gruppo 1, quello delle due Germanie, vede nella prima giornata i padroni di casa occidentali stentare con il Cile,vincendo 1-0 grazie ad un gran gol di Breitner (in questa partita ci fu il primo cartellino rosso sventolato nella storia dei mondiali: pur essendo i cartellini in vigore sin dall’edizione del 1970, infatti, in Messico non si registrò alcuna espulsione), mentre la Germania Est si sbarazza 2-0 dell’Australia. I tedeschi dell’ovest vincono poi 3-0 con l’Australia, mentre il Cile impone il pareggio a quelli orientali. Diventava decisiva, per la Germania Est, a questo punto la sfida “derby” con quella dell’ovest. Un pareggio avrebbe qualificato entrambi. Ma se per chi viveva oltre la cortina di ferro era un’occasione per confermare amicizia e fratellanza, per i tifosi occidentali era una sfida vera e propria. Per non dire del CT Schoen, nato all’est.

E come in tutti i casi del genere, a vincere furono gli sfavoriti. L’Est sconfisse l’Ovest per 1 a 0. Per i tedeschi dell’Ovest fu una grossa delusione. L’accusa di essere solo dei mercenari sensibili al soldo cominciò a circolare, e nacque anche una polemica sul mancato utilizzo come titolare di Netzer, cui Beckembauer preferiva Overath, perché il biondo centrocampista aveva accettato le sirene economiche del Real madrid di Franco. Ma per Schoen quella sconfitta fu drammatica: rimase chiuso nella sua stanza senza parlare ai giocatori per un intero giorno (dirà poi di aver seriamente pensato alle dimissioni) e non si presentò più alle conferenza stampa, lasciando l’incombenza al capitano Beckembauer. L’inizio della marcia trionfale dei tedeschi fu quella sconfitta, visto a posteriori: il gruppo si cementò attorno a Kaiser Franz, e la sorte gli diede nel gruppo della seconda fase la Jugoslavia anziché il più temibile Brasile.

Il gruppo 3 vedeva come potenziale protagonista l’Olanda, che con l’Ajax stava spadroneggiando in Europa. Questa piccola nazionale, assente dalle fase finali dei mondiali da 36 anni cominciava a spadroneggiare con il suo gioco nuovo e spettacolare: quello che è passato alla storia come “calcio totale”.
Era nato, in realtà, per un motivo molto semplice: in Olanda, l’avvento del sistema WM o del metodo a W non era stato minimamente recepito. Addirittura in un’amichevole degli anni ’50 gli inglesi videro divertiti la nazionale arancione giocare ancora con il 2-3-5. Negli anni ’60, con l’avvento di una nuova generazione, il calcio cominciò a diventare più atletico, ed il football in Olanda cominciò a diventare più veloce. Il segreto di quel gioco non era tanto nel modulo (alla fine era quasi lo stesso 4-3-3 giocato dalla Germania Ovest) quanto nel fatto che i giocatori dovevano essere in grado di occupare immediatamente lo spazio lasciato libero da un compagno di squadra, mantenendo quindi sempre la stessa disposizione in campo.

Ovvio che un calcio del genere presupponesse una condizione atletica invidiabile (cosa che solo 20 anni prima non era possibile, sia per le privazioni della guerra sia per le preparazioni non professionali). Di certo, però, qualche aiutino chimico doveva esserci se, come ha raccontato Rensembrink, uno dei componenti di quella squadra, “ci davano da bere una bibita che ti faceva sentire i muscoli d’acciaio, ma avevamo sempre sete ed una lieve, ma costante, sensazione di vomito”. Il vate di questo tipo di calcio, il CT Rinus Michel affermava che “il campo va allargato quando si è in possesso palla, e ristretto quando la palla la hanno gli avversari”. Questo voleva dire occupare gli spazi in fase di attacco (ecco perché ognuno doveva correre ad occupare lo spazio lasciato libero dal compagno che si spostava) e la tattica del fuorigioco (come abbiamo visto non una novità, ma mai era stata portata avanti con così tanta continuità prima) in difesa, che era, o meglio tornava a zona. Torniamo comunque a ripetere che indipendentemente dal modulo, ci devono essere buoni giocatori: e quella nazionale ne era infarcita. Solo per citare alcuni nomi: Crujiff, Rep, Rensembrink, Van Hanegem, Krol, Neeskens, Haan. Tutte stelle di prima grandezza.

L’esordio degli “orange” fu contro l’Uruguay, che era solo la pallida ombra, ormai, della squadra che aveva vinto il campionato del mondo due volte. Finì 2-0 per gli olandesi, con doppietta di Rep ad inizio e fine partita, senza che i poveri uruguagi riuscissero a portare un solo pericolo verso la porta di Jongbloed. Una curiosità: in quella partita venne ammonito Pablo Forlan, padre di Diego, ed espulso Julio Montero, padre di Pablo. Dal punto di vista generazionale, i figli avrebbero poi fatto molto meglio dei padri.

Nell’altra partita del gruppo, Svezia e Bulgaria pareggiarono 0-0. Nella seconda giornata si registrarono due pareggi: l’Olanda non riuscì ad aver ragione di una Svezia molto ben organizzata, non andando oltre lo 0-0, mentre Bulgaria ed Uruguay impattavano sull’1-1. Nella giornata finale, l’Olanda disfece i bulgari per 4-1, segnando 5 reti (il punto bulgaro fu un autogol di Krol), mentre la Svezia di garantiva ulteriormente il passaggio battendo l’Uruguay (che doveva vincere per passare) per 3-0, con un gol all’inizio della ripresa e due gol in contropiede verso la mezz’ora del secondo tempo. Olanda con Brasile e Germania Est, e Svezia con Jugoslavia e Germania Ovest.

Il Gruppo 4 vedeva invece l’Italia, vicecampione del mondo, vedersela con Polonia, Argentina, ed Haiti. Proprio contro gli haitiani, gli azzurri iniziarono il loro percorso. Zoff, il portiere che aveva sostituito Albertosi aveva un’imbattibilità di oltre 1000 minuti in partite internazionali; davanti, oltre a Riva, Rivera e Mazzola, gli eroi di Messico 1970 c’era il capocannoniere della serie A Chinaglia, che con i suoi 24 gol aveva contribuito in maniera decisiva al primo scudetto della Lazio. E poi nel 1973 si era finalmente riusciti a vincere con gli inglesi a casa loro grazie a Capello e Chinaglia. Insomma, c’erano tutte le premesse per vedere quella goleada che la squadra italiana raramente concede. E non fu così. Il primo tempo si chiuse sullo 0-0 ed all’inizio del secondo la beffa: Sanon beffa tutti in contropiede e trafigge Zoff dopo 1142 minuti di imbattibilità. L’Italia si riebbe subito, e con Rivera e Benetti era già 2-1 dopo 20’, ma la tensione non si scioglieva.

La sostituzione di un Chinaglia non al meglio con Anastasi fatta da Valcareggi attorno al 70’ generò, da parte dell’attaccante Laziale, uno dei più clamorosi insulti in diretta ad un allenatore. Chinaglia era furioso, e voleva mollare tutto, dopo aver spaccato parecchie cose negli spogliatoi. Ci volle tutta la pazienza poi di Maestrelli, suo allenatore e mentore in quella magnifica Lazio, per convincerlo a restare. Tra parentesi, Anastasi chiuderà poi il conto con il 3-1 finale dieci minuti dopo essere entrato. Nell’altra partita del girone, una Polonia sorprendente (non praticava di certo un calcio rivoluzionario come quello Olandese, ma era un miracolo organizzativo in campo) sconfiggeva, con una mezza sorpresa, l’Argentina per 3-2. Dopo un gol divorato da Kempes in contropiede (si rifarà poi, l’argentino, 4 anni dopo) la Polonia passa due volte in due minuti: prima con Lato lesto a ribadire in rete una presa fallita dal portiere Carnevali su calcio d’angolo, e poi con il baffuto Szarmach che finalizza un contropiede magistrale. Il risultato è in realtà bugiardo: l’Argentina si affaccia pochissimo dalla parti del portiere polacco Tomaszewki, ed in difesa è tutt’altro che imbattibile: anche il terzo gol (personale doppietta di Lato, che sarà poi il capocannoniere del torneo con 7 reti) è frutto di un rinvio scriteriato di Carnevali dopo che il portiere Argentino aveva compiuto un mezzo miracolo su tiro di Deyna.

La seconda giornata vedeva i Polacchi sbarazzarsi dei poveri Haitiani con un eloquente 7-0, mentre Italia ed Argentina si incontravano per la prima volta nella una fase finale di un mondiale: da allora sarebbe successo consecutivamente fino al 1990. Finì 1-1, con entrambe le squadre preoccupate di non farsi male più di tanto. All’Italia bastava un pareggio, e forse anche la sconfitta per un gol se l’Argentina avesse fatto con Haiti peggio del 3-1. Ma l’albiceleste vinse contro gli haitiani per 4-1, mentre gli azzurri capitolavano 2-1 contro la Polonia. Due gol di Szarmach e Deyna in 6 minuti dal 38’ al 44’ del primo tempo dissolsero le speranza italiane. Inutile il gol di Capello a 5’ dalla fine ed il forcing verso la porta di Tomaszewki. Azzurri fuori per differenza reti. Brera, leghista ante litteram, da la colpa dei due gol a Wilson, il libero della Lazio subentrato all’infortunato Burnich al 33’ del primo tempo che portando “le lenti a contatto, non vede i cross se non all’ultimo momento”. In realtà, l’Italia era una squadra priva di personalità, con il blocco di Messico ’70 in chiara fase calante e una nuova generazione non ancora pronta per prendere in mano la squadra. Ne fece le spese Valcareggi, esautorato dopo questi mondiali.

I due gruppi di semifinale erano quindi:
Gruppo A: Germania Est, Brasile, Olanda, Argentina
Gruppo B: Germania Ovest, Jugoslavia, Svezia, Polonia.


Capitolo 4

Nel Gruppo A, Olanda e Brasile vincono le prime due partite abbastanza agevolmente (l’eccezione fu Brasile Argentina, prima volta che quest’incontro veniva disputato in una fase finale di un mondiale: finì 2-1 per i Brasiliani con un Rivelino mastodontico ed un Jairzinho che poteva chiudere la partita molto prima non avesse mandato molti palloni anziché in porta sui cartelloni pubblicitari del Cynar).

Essendo inutile quindi la partita tra Tedeschi dell’Est ed Argentina, finita 1-1, Olanda Brasile diventava la vera semifinale: un pareggio avrebbe visto gli orange in finale per la differenza reti. Fu una partita violenta e cattiva, soprattutto da parte dei Brasiliani che, frustrati dal continuo sgusciare degli olandesi in ogni parte del campo e sentendosi inferiori calcisticamente, rispondevano con calcioni, placcaggi e gomitate. Ne fecero le spese soprattutto Crujiff e Neeskens, che comunque nel secondo tempo misero a segno i due gol che confermavano la supremazia Olandese. Arancioni in finale e Brasile alla finalina. In sei partite, l’olanda aveva vinto sei volte, segnato 14 reti e subita una sola, su autorete di Krol. Il calcio totale sembrava anche un’ottima arma difensiva. Di certo, i media non sportivi erano più interessati alla “stranezza” di questi ragazzi, che si portavano mogli e fidanzate in ritiro, e che dopo ogni partita avevano la libera uscita (veri figli degli anni ’60) che non alle novità calcistiche che quella fantastica nazionale aveva portato.

Nel gruppo B la situazione è simile: Germania Ovest (sempre più dipendente da Kaiser Franz Beckembauer, che aveva ormai preso il posto del CT Schoen in conferenza stampa e di sicuro anche come motivatore della squadra) e Polonia vinsero le due partite contro Svezia e Jugoslavia (gli scandinavi vinsero poi per 2-1 quell’inutile match) facendo così diventare Germania-Polonia una sorta di semifinale come nel gruppo A. Questa volta è la Germania ad avere il vantaggio della differenza reti e quindi a poter contare in due risultati su tre. Fu una partita, nonostante il campo infame (l’inizio ne fu ritardato per colpa di un acquazzone incredibile soprattutto considerando che era il 3 luglio), bellissima e giocata a viso aperto da tutte e due le squadre: la Polonia con la sua organizzazione e la Germania Ovest che dopo quella sconfitta  contro i cugini aveva finalmente ritrovato se stessa. Sugli scudi i due portieri: Maier compie delle autentiche prodezze, mentre Tomaszewki para addirittura un rigore. Ma il portiere polacco deve alla fine capitolare su Muller. 1-0 è il risultato finale.

La finalina sarà Polonia Brasile (finirà 1-0 per gli europei), mentre la finale metterà a confronto le stelle del mondiale contro i padroni di casa.

La rivalità tra le due nazioni è fortissima: in Olanda il ricordo dell’occupazione nazista è ancora molto forte. Soprattutto un giocatore, Van Hanegem, sente la partita in maniera emotiva: la sua famiglia ebbe parecchie vittime a causa della guerra. Per non farsi mancar nulla, il solito giornale scandalistico tedesco risponde a quest’antipatia montando uno scoop dove si parlava di una notte di festa con donne, diciamo così, non ufficiali, di tutta la squadra olandese dopo la vittoria sul Brasile. Pare che le gelosissime mogli abbiano tenuto i poveri orange al telefono per tutta la notte chiedendo spiegazioni. Comunque arriva finalmente il giorno della finale: è il 7 luglio 1974 e la città è Monaco di Baviera; il giorno prima si era giocata la finalina in quello stesso stadio, e Germania Ovest ed Olanda non avevano potuto allenarsi li.

Le formazioni sono: per la Germania Ovest Maier, Vogts, Breitner; Schwarzenbeck, Beckembauer, Grabowski; Overath, Muller, Hoeness, Bonhof, Hoelzenbein. Risponde l’Olanda con Jongbloed, Haan, Van Hanegem; jansen, Krol, Neeskens; Crujiff, Rensembrink, Rep, Rijsbergen, Suurbier. Arbitra l’inglese Taylor, che come prima cosa fa mettere le bandierine dei calci d’angolo: gli efficientissimi tedeschi se le erano scordate…

Calcio d’inizio agli olandesi. Gli orange si passano sedici volte la palla in 50” senza mai farla toccare agli avversari. Alla fine Crujiff, partendo nella sua metà campo da ultimo uomo dietro i difensori (!) dribbla tre tedeschi e si presenta in area, dove viene falciato da Hoeness. Rigore! E’ il primo rigore assegnato in una finale dei mondiali di calcio. Va Neeskens a batterlo e batte Maier: 0-1! Il portierone tedesco, raccogliendo la sfera nel sacco, è il primo della sua squadra a poter toccare il pallone. Ed è il secondo minuto.

La reazione tedesca è tutta in un tiraccio di Breitner che colpisce la pubblicità della Alka Selzer. Ma gli olandesi si compiacciono troppo di loro stessi, e giocano solo per l’estetica, facendo così risorgere i mai domi Terdeschi occidentali: al 25’ una discesa di Holzembein finisce con questi che fa un volo in area. Rigore anche qui. Non solo uno, ma due rigori dati in una finale di un mondiale. Taylor dirà poi che il rigore dato agli olandesi era assolutamente netto, mentre sul secondo lui ha visto non il danno, ma il tentativo di farlo (che va punito uguale, intendiamoci). In realtà, Holzembein era famoso come cascatore, e questa volta era riuscito ad ingannare l’arbitro. Si incarica Breitner dell’esecuzione: questo terzino, di fede politica maoista, non si rivolgeva neanche la parola con Beckembauer, conservatore oltre ogni ragionevole limite: ma le stima tecnica tra i due c’era, e tanta, se proprio a lui venne affidato il difficile compito di pareggiare, cosa che fece senza neanche far tuffare il povero Jongbloed: 1-1!

Gli olandesi sembrano non averne più: non si saprà mai quanto il calo che ebbero in quella partita fosse fisico o fosse psicologico, fatto sta che la Germania Ovest cominciò ad attaccare e gli olandesi, al di la di un contropiede di Neeskens, non andarono. Dopo due salvataggi di Jongbloed su Vogts e su Beckembauer che aveva tirato una velenosa punizione dai 25 metri, al 42’ l’Olanda capitola: discesa di Bonhof sulla destra, cross rasoterra per Mueller, che ferma il pallone, ma lui è un metro più avanti: poco male, il suo basso baricentro riesce a farlo avvitare su se stesso ed a piazzare il pallone nell’angolo sinistro, dove il portiere olandese può solo vedere il pallone entrare: 2-1! Quarto gol per il centravanti in questa edizione dei mondiali, quattordicesimo in totale: supera Just Fontaine e diventa in più prolifico cannoniere dei mondiali: lo sarà fino al 2002, quando sarà superato da un altro fenomeno. Il primo tempo finisce così, con Crujiff che protesta tanto da essere ammonito durante il rientro negli spogliatoi.

Nel secondo tempo la musica cambia poco: il pericolo maggiore per i tedeschi lo porta… Maier che con una goffa uscita di pugno su un cross quasi mette la palla in rete ma Breitner salva di testa sulla linea. In realtà i tedeschi potrebbero fare il 3-1 con Muller (gol annullato per fuorigioco) ed avrebbero ragione di lamentarsi per un rigore netto (questo si) negato ad Holzembein: Taylor evidentemente si era convinto di esserci cascato, nel primo tempo. Ma il risultato non cambia: La Germania Ovest vince per la seconda volta il mondiale, per la seconda volta perdendo una partita (e fino a quel momento era l’unica ad aver avuto tale record) e per la seconda volta battendo quelli che avevano giocato il miglior calcio (l’Ungheria venti anni prima, l’olanda nel 1974). Beckembauer può finalmente alzare, per la prima volta, la coppa FIFA. Per lui, Mueller e Crujiff sarà l’addio ai mondiali.

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