Autore Topic: FOCUS - Scelte e mentalità: la Lazio non ha ancora imparato la lezione  (Letto 337 volte)

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                           Non ci siamo. Gli elogi di queste settimane sono diventate sbornia e la Lazio a Ferrara si è risvegliata con un gran mal di testa. Disorientata, annebbiata, fragile. Eppure presuntuosa, boriosa, convinta di poter vincere trotterellando, sguainando il fioretto e non la spada. Dopo il derby, un altro passo falso. Ancor più amaro. Al “Mazza” la Lazio perde contro un avversario modesto, prevedibile, ma che ha messo in campo cuore, voglia e agonismo, cose che Immobile e compagni sembravano aver invece dimenticato a Roma. I biancocelesti si sono persi di nuovo nei loro blackout, nelle loro fragilità mentali, nell’incapacità di leggere i momenti della partita e azzannare la preda per darle il colpo di grazia. È ormai una costante della gestione Inzaghi e i “ci servirà da lezione” o i "dobbiamo imparare a evitare i blackout" sciorinati in questi anni cominciano a stare stretti. La Lazio non ha mai imparato la lezione: non l’ha imparata dopo Salisburgo, dopo il 20 maggio, dopo il Chievo, il Sassuolo o la Spal dello scorso anno.



BLACKOUT - Sono tante, troppe ormai le partite che sembravano alla portata e poi gettate vie per momenti di buio, per un interruttore che si spegne sul più bello. Come se questa squadra avesse paura di vincere, di arrivare dove si prefissa e dove dice di voler giungere. Serve uno scatto, un upgrade mentale che però dopo tre anni non è mai arrivato e che oggi ha i crismi della chimera. Nell’anno della Champions sfumata per un soffio tornano alla mente il primo tempo dominato contro il Napoli nella gara di ritorno e poi il crollo che portò al 4-1 finale. O il derby d’andata, giocato bene per un tempo, buttato a inizio ripresa con la Roma che segna due gol in 4’ con Perotti e Nainggolan. E si potrebbe continuare citando la sconfitta di febbraio 2018, in casa, contro il Genoa, il 2-2 di Crotone o quello contro il Cagliari, oltre alla già citata Salisburgo, per arrivare infine al match decisivo contro l’Inter, tenuto in mano per 75’ e rovinato nel finale. Partite dominate per larghi tratti e gettate alle ortiche per fatali momenti di offuscamento. Lo scorso anno restano negli occhi, come fumo, il derby d’andata, giocato meglio per larghi tratti e sprecato per un’interpretazione folle degli ultimi minuti del primo tempo. Poi i risultati contro Sassuolo, Spal, Chievo, proprio nel momento in cui la Lazio sembrava aver ingranato la marcia giusta dopo il successo a San Siro contro l’Inter.



SNODO - La Spal è tornata a essere uno scoglio scivoloso, ha fatto riemergere improvvisi i limiti di una squadre che nelle prime due giornate aveva spinto appassionati e addetti ai lavori ad applausi fin troppo rumorosi. Tanto da distrarre la Lazio, da farla volare troppo vicina al sole e quindi sciogliersi nel caldo pomeriggio emiliano. È stata supponente la squadra, pensava di aver vinto dopo un primo tempo ben giocato, forse lo è stato anche l’allenatore facendo turnover quando non serviva, dopo una sosta e alla 3a giornata di campionato. Patric come terzo di destra continua a non convincere: troppo irruento, poco disciplinato lo spagnolo per coprire il ruolo in partite delicate. Perché quella con la Spal era un match delicato, da vincere, per ripartire dopo la delusione dei due punti persi nel derby, per mettere punti in cascina in vista delle sfide con Parma e soprattutto Inter.



SCELTE - Perché non Bastos che da mesi sta dando segnali incoraggianti? Perché non provare subito Vavro? Perché usare sempre un cambio per togliere un giocatore ammonito? Va bene non rischiare l’espulsione, ma a volte i tre cambi - soprattutto con 32 gradi e un’umidità stremante -  andrebbero gestiti con più calma. Una sostituzione, per esempio, sarebbe stata utile per far rifiatare un Lulic che dopo 60’-65’ fatica molto a rimanere in partita con lucidità. Inzaghi ha fatto le sue scelte, ha perso. Non ha convinto nemmeno il cambio Milinkovic-Leiva con lo spostamento di Parolo in mezzo. Non ha convinto l’esclusione di Caicedo che tra i due attaccanti era sicuramente il più positivo. Ma soprattutto lascia interdetti la scelta di lasciar fuori Milinkovic in una gara che si preannunciava fisica. Scelte e mentalità. A Ferrara i limiti sono apparsi questi. Ora serve resettare, senza eccessi in un senso o nell’altro: la Lazio non era squadra da “Champions in carrozza” prima e non è una squadra da buttare adesso. Ma per fare lo step decisivo e poter davvero ambire con convinzione al quarto posto c’è necessità d’imparare davvero la lezione presa al “Mazza”. Altrimenti il ritornello tornerà a farsi sentire e rischierà di diventare stucchevole tormentone.

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