Autore Topic: L'Italia è senza giovani? 43% di stranieri a contratto nei vivai, ma il problema è più grande dei nu  (Letto 221 volte)

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di Emanuele Tramacere

Reagire d'istinto davanti a un insuccesso è quanto di più sbagliato la storia ci abbia insegnato eppure ancora una volta, prese dal momento e dalla voglia di mettersi alle spalle il fallimento del mancato accesso dell'Italia di Roberto Mancini, le "istituzioni" calcistiche, dalla Figc alla Lega Calcio, hanno iniziato la corsa alla "riforma" parlando di numeri e statistiche che, fino a ieri, sembravano non interessare. E quando qualcosa non va, con il dito che indica la luna, lo sguardo spesso ricade solo sul dito e quindi, di punto in bianco, l'enorme problema strutturale per la Nazionale italiana sono diventati, ancora una volta, i giovani.

I NUMERI - "C'è poco materiale umano selezionabile", parola del presidente Figc Gabriele Gravina. "Ci sono troppi stranieri nelle giovanili", ma anche frasi più nazional-popolari come "Non insegnamo più calcio" e ancora "Ai giovani il calcio non interessa più" si sono rincorse in queste 48 ore di cocente delusione. E a guarda bene i numeri sembrerebbero anche dimostrarlo, dato che solo il 42,81% dei giocatori che compongono le nostre formazioni Primavera e che hanno ottenuto un contratto professionistico sono stranieri, con il dato che sale al 64% per i giocatori della nostra Serie A.

POCO CORAGGIO - Gli italiani selezionabili sono pochi? Probabilmente sì, ma la differenza rispetto agli altri campionati non è in quel delta di differenza di stranieri in campionato che va dal 5% con la Liga al 25% con la Ligue 1. Perché proprio la Nazionale di Roberto Mancini ha avuto il merito, quantomeno iniziale, di intercettare diversi ragazzi cresciuti nei nostri vivai e nelle selezioni giovanili e di lanciarli nel calcio dei grandi. Zaniolo è stato il primo (poi condizionato dai problemi fisici), ma anche Raspadori, Tonali, Scamacca e molti altri rappresentano esempi concreti del coraggio avuto dal ct.

I TOP CLUB NON AIUTANO - Quel coraggio che manca ai club, soprattutto i top d'Italia, troppo legati ai risultati e alla ricerca del quarto posto Champions (e dei successivi introiti) da potersi permettere un impiego costante dei ragazzi formati nei propri settori giovanili. Ce l'ha fatta l'Atalanta (7° club per incassi da plusvalenze giovanili negli ultimi anni in Europa), ce l'ha fatta il Milan, ma nel momento più buio della sua gestione societaria, in parte ce l'ha fatta la Roma, ma non centrando i già citati obiettivi. Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni il bacino d'utenza da cui più volte Mancini ha pescato sia stato il Sassuolo, un club di fascia media, che ha soltanto sfiorato le competizioni europee senza patemi di bilancio. E i numeri stavolta ne sono una riprova dato che soltanto il 7,4% dei minuti giocati dai calciatori in Serie A è destinato ai giocatori cresciuti nei propri vivai. 

IL CALCIO DA PICCOLI - I giovani sono sempre meno? Probabilmente sì, ma quelli che ci sono non riescono ad essere sfruttati al meglio. E per di più fin da piccoli, vengono formati con poche certezze, sono meno liberi di sperimentare per strada e nei campi di provincia (quelli pubblici sono sempre meno, e le porte che un tempo erano sempre presenti, sono state ovunque rimosse perché poi "di chi è la responsabilità se qualcuno si fa male?") e hanno a che fare con allenatori che, esclusi quelli dei centri federali, dallo stato non sono considerati neanche "professionisti". 

RIDIAMO IL CALCIO AI BAMBINI - I nostri campionati giovanili sono troppo esterocentrici? Per ora la risposta è corretta è no, anche se certo la globalizzazione porta i confini dei paesi ad essere sempre più labili e la multietnicità a farla da padrone. I giovani che giocano a calcio sono sempre meno? Anche qui la risposta corretta è no, anche se la paura di prendersi delle responsabilità al posto loro sta lentamente soffocando la passione. E allora se i giovani italiani ci sono, e al netto del discutibile decreto crescita si riesce anche a portarli nei settori giovanili più formativi d'Italia, come può essere dei giovani la colpa di questo fallimento? Ridiamo ai giovani un pallone fra i piedi, prendiamoci di nuovo la responsabilità di farli sentire liberi di giocare. E quei talenti nati per strada o negli oratori che hanno reso grandi le nazionali del passato potranno magari anche essere resi più forti e pronti al salto dai professionisti dei settori giovanili e scolastici.

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