Autore Topic: 40 anni fa  (Letto 812 volte)

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Online Ataru

  • Rimarrò Celestino a vita
  • Power Biancoceleste
  • *
  • Post: 11082
  • Karma: +296/-18
  • Sesso: Maschio
  • comunque, censore
    • Mostra profilo
    • Fotoblog di Ataru
40 anni fa
« : Martedì 5 Luglio 2022, 21:05:43 »
osa c'è da psicolo propriono capisco.
qui sono un esempio di civilità e non solo per molti

Offline Frank 73

  • Biancoceleste DOP
  • *****
  • Post: 1952
  • Karma: +277/-0
    • Mostra profilo
Re:40 anni fa
« Risposta #1 : Martedì 5 Luglio 2022, 22:51:14 »
Credo di aver visto e rivisto questa partita almeno un centinaio di volte.
Nessun altra partita l'ho vista più di una volta, non ci riesco.
E' la partita che mi ha fatto appassionare di Calcio, tanto che dopo qualche mese incontrai la Lazio.
E' la partita che ha cambiato la Storia del nostro Calcio e forse non solo, restituendo entusiasmo e voglia di rilancio.
Chissà se oggi ci può essere un evento di portata analoga che possa risollevarlo dalla depressione in cui si è cacciato.
"Chi ama la Lazio va a vedere la Lazio" (S. Cragnotti)

Orazio Scala

Re:40 anni fa
« Risposta #2 : Mercoledì 6 Luglio 2022, 09:56:12 »
Credo di aver visto e rivisto questa partita almeno un centinaio di volte.
Nessun altra partita l'ho vista più di una volta, non ci riesco.
E' la partita che mi ha fatto appassionare di Calcio, tanto che dopo qualche mese incontrai la Lazio.
E' la partita che ha cambiato la Storia del nostro Calcio e forse non solo, restituendo entusiasmo e voglia di rilancio.
Chissà se oggi ci può essere un evento di portata analoga che possa risollevarlo dalla depressione in cui si è cacciato.

No. Un simile impatto sulla società non è ripetibile. Il calcio è stato (non lo è più. per fortuna? o purtroppo? chi può dirlo) un elemento portante di questo Paese, quanto la politica (anche questa degradata a marginale teatrino), il lavoro, la famiglia. Dagli anni '50 fino al 2000, più o meno. Un Mondiale era un evento nazionale e coinvolgeva profondamente la quotidianità di tutti, in ogni suo aspetto.

Ieri, per i quarant'anni di quella che uno scrittore, Piero Trellini, ha felicemente definito La Partita (titolo del libro che invito tutti a leggere), le celebrazioni sono state tante e tutto sommato sono riuscite a rievocare quel pomeriggio in maniera fedele, a parte qualche luogo comune stratificato e duro a morire. Italia-Brasile è definitivamente entrata nell'immaginario collettivo nazionale e a mio parere ha scalzato dal trono l'altro totem sacro, quello di Italia-Germania del 1970. D'altra parte, quel favoloso 4-3 "morì" su se stesso, se così si può dire, sul piano calcistico e su quello sociale: Italia-Brasile invece è uno spartiacque nella storia del Calcio e in quella italiana. Nulla fu più come prima. Basti pensare alla bandiera tricolore, fino a quel momento vista con sospetto al di fuori di momenti e contesti ben precisi: apparsa timidamente nelle piazze in qualche esemplare dopo la vittoria contro l'Argentina, diventata un obbligo dopo il 5 luglio (ricordo la caccia alla stoffa nelle mercerie e i tre rotoli colorati su ogni tavolo, che le commesse tagliavano sorridenti): il rapporto tra gli italiani e la bandiera non fu più lo stesso.
 
Così come il trionfo finale consentì di richiamare necessariamente alla memoria e di "sdoganare" i due precedenti titoli, trattati sempre con un po' di pudore perché lontani nel tempo e figli di una brutta epoca. Ancora, la sensazione di non essere più i brutti anatroccoli e lo zimbello di tanti altri ma vincenti in qualcosa di importante: soprattutto, di essere vincenti per mezzo della serietà, dello stile, dell'impegno e della cura di ogni dettaglio: compresi quelli meno edificanti che però rimanevano ben celati grazie alla sapienza e alla prudenza di chi se ne prendeva cura. Da tutto questo scaturì quella che con un'altra intuizione felice fu definita "una frustata di ottimismo nazionale": certo, in un contesto che era già favorevole e predisposto, ma che con la vittoria nel calcio si combinò in una sinergia irripetibile.

Presero il volo il "Made in Italy" e in genere la nostra immagine nel mondo. Cambiò, in linea generale, l'approccio alla quotidianità: ottimismo e spensieratezza presero il posto di sentimenti forse più saggi e ponderati ma di cui, dopo un decennio terribile, si era semplicemente stanchi.

Quanto al calcio, le eredità di Italia-Brasile sono tante e tali che illustrarle tutte richiederebbe un forum a sé. Eredità tattiche, tecniche, regolamentari. E ancora, tanti momenti diventati icone.

No, non ci sarà mai più una partita così.

Offline franz_kappa

  • Superbiancoceleste 2013
  • *
  • Post: 14998
  • Karma: +764/-67
  • F.F.U.O.S.
    • Mostra profilo
Re:40 anni fa
« Risposta #3 : Lunedì 11 Luglio 2022, 21:51:52 »
Intanto... 40 anni fa, se ho capito bene proprio in questi minuti, si vinceva la nostra terza Coppa del Mondo.

Nei prossimi giorni, se riusciamo, sarebbe bello condividere ricordi, impressioni e analisi sulla portata di quel trionfo, prendendo spunto dal meraviglioso post di Orazio Scala dello scorso 6 luglio, che trasuda amore per il calcio.
Buon viaggio, caro Piero.

Offline Frank 73

  • Biancoceleste DOP
  • *****
  • Post: 1952
  • Karma: +277/-0
    • Mostra profilo
Re:40 anni fa
« Risposta #4 : Lunedì 11 Luglio 2022, 23:45:05 »
Non seguivo il Calcio quando iniziò quel Mondiale, non conoscevo neanche un giocatore.
Il Calcio era la partita nel cortile sotto casa, venivo scelto alla fine (ero una pippa/esubero  ;D ) e quelli bravi se la tiravano citando ad ogni goal il loro campione preferito. A me ovviamente sconosciuto.
Poi un giorno, mentre giocavo non ricordo a cosa, avevo nove anni, sentii mio padre urlare per un goal. Mio padre che era un tipo alla Zoff, di poche parole e molti silenzi. Era fuori di sé, stavamo battendo l'Argentina.
Mi misi, incuriosito, vicino a lui durante la partita col Brasile. Fu un pomeriggio indimenticabile.
Da quel momento, dal non seguirlo minimamente, il Calcio diventò il mio primo interesse.
La Lazio, qualche mese dopo, fece il resto facendomi innamorare.

Stasera ho visto il film documentario su Rai 1. Niente di nuovo, ma sempre emozionante rivivere quei momenti.
Protagonisti principali Enzo Bearzot e Paolo Rossi. Giusto, la loro storia è quella più significativa di quell'evento, quella che ha cambiato anche il modo di raccontare le vicende del pallone. Forse ci avrei aggiunto come protagonista la figura di Gaetano Scirea, con Zoff il simbolo di un certo modo di essere atleta e di vivere lo sport, Gaetano Scirea che neanche è stato nominato, se non appena dallo Zio Bergomi nel finale per ricordare lo scambio con colpo di tacco nell'area tedesca (due difensori a giochicchiare nell'area avversaria, sull'1 a 0, per la Nazionale catenacciara... roba da matti....) prima di servire Tardelli per il goal simbolo di quella storia.
Da quel momento, da quell'Evento, è cambiato anche il modo di fare giornalismo, giornalismo sportivo.
Forse in peggio. Sì, certo, allora ci andarono pesante. Verso Bearzot, verso Rossi, verso quel gruppo. Con una cattiveria spesso vigliacca.
Ma non so se sia meglio il clima melenso di oggi, dove si ha paura anche di criticare l'Italia fuori dal Mondiale per mano della Macedonia (...) e i protagonisti di tale disastro tutti al loro posto.
Che se non avessimo battuto Argentina e Brasile quarant'anni fa, quei ragazzi e il loro condottiero neanche sarebbero potuti rientrare in Patria, figurarsi se avrebbero potuto continuare l'avventura.

Vinsero quattro partite. Quelle partite. Ci fosse stato il ranking già allora, sarebbe stata, nel periodo 1980-1986, una nazionale mediocre, non all'altezza di Francia, Brasile e qualche altra. Ma il Mondiale è questo, indovini (...) due o tre partite e puoi trionfare. E lo puoi fare solo se sei Forte, se sei speciale.
Come, fatte le debite proporzioni, per qualsiasi trofeo o competizione (...), che sia di quaranta o di tre partite cambia poco.
Ma vinse quelle quattro partite che cambiarono il Calcio nelle regole e nei sistemi di gioco, cambiarono il nostro Paese nella percezione di sé, cambiarono il giornalismo, non solo sportivo, nel modo di raccontare fatti e personaggi con la preoccupazione di esporsi alla brutta figura di aver preso la cantonata. Tutto partì da lì. E non si ripeterà più.
"Chi ama la Lazio va a vedere la Lazio" (S. Cragnotti)

Orazio Scala

Re:40 anni fa
« Risposta #5 : Martedì 12 Luglio 2022, 08:04:20 »
Ci sono dei ranking redatti a posteriori (per esempio eloranking.net) e l'Italia, alla fine del 1982, figura al secondo posto dopo il Brasile. Il che non significa che la nostra vittoria di Barcelona vada ascritta a un accidente: il Brasile era TEORICAMENTE più forte ma poi le partite vanno giocate e d'altra parte il ranking discende dai risultati e da niente altro.

Tutti noi trascorremmo quei novanta minuti col cuore in gola, tremando per ogni pallone che passava la metà campo, perché l'idea che il "miracolo" che stava prendendo forma svanisse era insopportabile. Qualche irriducibile scrivano, più battuto dai fatti di Napoleone a Waterloo, tentò di minimizzare quel risultato. Ma, rivista a posteriori la partita, la vittoria italiana fu netta e indiscutibile. La Nazionale soffrì molto di più contro l'Argentina, per dire.
Si tenta ancora di minimizzare parlando di "Brasile diviso in clan" o cercando difetti nella squadra di Zico e compagni: da parte degli stessi che fino alla mattina esaltavano il perfetto collettivo brasiliano, compreso il geniale impiego del centravanti-boa Serginho. E, nonostante sia divenuto proverbiale l'apporto del " gruppo" per il nostro successo, le spaccature c'erano anche tra I nostri: fra i tanti, Altobelli era uno che certamente mordeva il freno, così come Massaro. Un altro scarsamente inserito era Dossena, al punto che il suo impiego in finale, scelta naturale per l'assenza di Antognoni, fu evitato da Zoff che suggeri al CT di far giocare "il ragazzo" Bergomi.

Come spesso accade nel calcio, quella squadra fu la somma di valori individuali e di alchimie. Lo ZoffGentileCabrini che siamo abituati a recitare, dopo l'uscita di Collovati alla mezz'ora contro il Brasile, non scese in campo mai più: salvo che nel primo tempo di un triste Svezia-Italia l'anno successivo, ultima partita ufficiale di Dino Zoff: una sorta di omaggio a se stessi e al Monumento, ma ormai omaggio alla memoria. Tolta dol contesto Mondiale e dalle motivazioni del torneo, sazia ubriaca di quel successo, quella squadra non esisteva più. I calciatori di oggi sono più professionisti e gestiscono molto meglio le emozioni; all'epoca non era così facile.

L'informazione passò dalla critica più spietata al terrore di essere smentita dai fatti. Ne pagammo le spese soprattutto nel '90, quando le marce trionfali accompagnavano esaltanti le "imprese" contro USA Eire e compagnia: imprese di una squadra che inciampò sul primo millimetro sconnesso del tappeto che le era stato preparato. Ancora oggi sento parlare di quella Nazionale come della "più forte di sempre": incredibile, davvero, quanto la propaganda sovverta anche la percezione dei fatti puri e semplici.