Autore Topic: Villa Scorciosa  (Letto 9697 volte)

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Offline Frusta

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Villa Scorciosa
« : Mercoledì 11 Settembre 2019, 14:19:36 »
“Quando la filosofia dipinge in chiaroscuro, allora un aspetto della vita è diventato vecchio, e dal chiaroscuro esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.”
(Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto)

E così quella sera di inizio agosto tutti e due siamo arrivati fin là: io in qualche modo e Fabio non so come, forse seguendo il volo di Barbara, la nottola di Minerva, che dopo aver fiaccato a colpi di becco le maglie di filo di ferro della gabbia che imprigionava l’ epopea di Villa Scorciosa e smosso con le ali l’ asma millenaria del tempo che vi stagnava dentro, aveva riacceso con la luce biancazzurra del suo sguardo i bagliori residui del chiaroscuro decrepito che filtrava dalla porta del labirinto dei ricordi in cui Leo, rastrellando memorie secolari, si era aggirato per una eternità lunga quattro anni, costringendo se stesso (L'Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl'anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia…) a vagare, di sepolcro in sepolcro, nei resti di ognuno delle migliaia di anni della sua terra per richiamarli in vita e schierarli, resuscitati, nelle pagine del libro vivo che ci stava spalancando davanti, invitandoci ad entrarvi dentro.
E siamo entrati. Prima cauti nella penombra mortuaria, guidati dalla voce di Leo e seguendo la luce di Barbara che ci svolazzava davanti, e poi stupiti dall’ odore di gelsomino fresco che man mano soppiantava negli androni dei periodi e delle ere che si susseguivano l’ odore di inchiostro putrefatto delle cronache antiche, e poi ancora sbalorditi dal bagliore progressivo che illuminava uno ad uno gli anni che stavano resuscitando, contagiati dalla incommensurabile disposizione all’ attesa con cui Leo li aveva aspettati.
Diventando, per tutta la lunghezza del libro, ognuno delle centinaia di migliaia dei protagonisti vessati dai triboli della storia della tribù scorciosana senza la calamità di esserlo stati davvero.
E così, nel paleolitico, all’ inizio dei tempi, quando il tempo ancora fluttuava  invece di scorrere, seguendo la scia densa delle foglie gelate ed il loro odore di piena di fiume, Arch e Frusta sono arrivati fino al mare abruzzese galleggiando sulle acque del Po proprio mentre il torrente incessante della realtà stava attraversando quei primi passi di storia e scrivendo nei rovesci d’acqua sporca dei catini premonitori delle pitonesse le turbolenze di ognuno dei periodi successivi.
Sono scesi dalle alpi insieme ad Annibale con passo sincrono e parsimonioso da elefanti siamesi  e poi acciuffato la Vittoria per la chioma che schiava di Roma Iddio la creò.
Hanno attraversato l’ adriatico usando gli espedienti da naufraghi e le zattere di disperazione degli schiavoni dalmati ed assistito agli scempi da diluvi universali della peste nera, delle razzie barbare e saracene, delle centinaia di migliaia di dolori inutili provocati da inutili baroni, conti, marchesi, duchi, viceré e re di briscola ognuno ineluttabilmente  troncato poi di netto dalla stangata inevitabile della morte.
Hanno spento i lucignoli da funerale dei vescovi e dei papi morti, seppellendoli insieme allo splendore femminile delle gemme dei loro piviali da santeria, delle loro tiare da reame terrestre e del broccato color porpora dei loro strascichi da cocorite.
Hanno visto passare, prese per i piedi e trascinate dalla Storia, le salme dei potenti e seguito con lo sguardo il rigagnolo di decorazioni, di spalline, di alamari, di medaglie, di sciabole da parata e di passamanerie da onorificenza che andavano seminando per strada insieme alla scia dei pidocchi e delle pulci che saltellavano dagli stracci dei morti di fame, di pellagra, di scorbuto e di costernazione.
E poi, quando il tempo incomputabile dell’ eternità, arrivato all’ ultima pagina, era finalmente terminato, con il medesimo passo sincrono e gemello di elefanti siamesi e senza nessuna nottola che li guidasse con i fari blu della sua luce e nessun Leo con la sua voce, tomi tomi, cacchi cacchi, si sono diretti verso il tavolo delle paste & pizze & arrosti & tramezzini.




La bambina in basso a sinistra è mamma Luisa a 5 anni, che non voleva assolutamente farsi fotografare perché si vergognava della camicia da adulto che le avevano fatto indossare perché il giorno prima i suoi vestitini erano stati ridotti in cenere dall' incendio che aveva distrutto la sua casa insieme a tutto quello che conteneva.


P.s.
Un grazie a mamma Luisa che per tutto il tempo ci ha accarezzato col suo sguardo, a papà Camillo che ci ha deliziato con le sue poesie musicali, allo stoicismo di William che s’è messo davanti ar forno a coce le pizze nel caldo senza misericordia delle due del pomeriggio, all’ ospitalità di Gabriella che ci ha spalancato le porte di casa sua, a Simona che ancor prima che arrivassimo ci aveva già offerto su un piatto d’argento la sua amicizia, a Roberto, laziale totale, laziale enciclopedico ed enciclopedico totale, ed a Leo, che appena ci siamo visti è stato come se ci conoscessimo da sempre.


P.p.s
E (profondissime) scuse alla memoria di Manzoni e Gozzano a cui ho rubato una citazione per uno (vince una bambolina vestita con la maglia bandiera chi indovina la seconda) e soprattutto a quella di Marquez, a cui ho spudoratamente devastato la sintassi.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline Arch

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #1 : Mercoledì 11 Settembre 2019, 15:46:38 »
Due giorni intensi, magnifici, totalizzanti. Con persone che brillano da sole come il sole. Armonia, meditazione, il senso del tempo che incanta e ti uccide. L'umanità. Il respiro di chi vive e di chi è vissuto. Gli occhi sognanti di Frusta, di Leo, di Barbara, Simona, di tutti. L'equilibrio tra cielo e terra. Terre incantate e incantevoli. Il passato che torna con le sue fatiche, gli eroismi nel sopravvivere, i lutti, le speranze, i loro dei e il loro dio che si onora e si bestemmia perché la "terra è bassa" e coltivarla toglie l'anima, t'annienta e niente dà. Lo sberleffo di una battuta, la risata illusoria e ti viene voglia di abbracciare Frusta, Leo, Barbara, Simona e tutti. Tu presenti il libro di Leo, più bello di ogni cosa, davanti a tutto il paese e il cane di casa t'ascolta e capisce e, incredibile, annuisce. Vecchio bastardo frentano che della storia e della vita sa tutto e si fa beffe del sindaco che non sa un cazzo però parla e conferma che non sa veramente un cazzo.
Frusta appunta tutto con la mente, Barbara ci porta da mangiare, Simona ha fatto da mangiare con mamma Luisa e papà Camillo poeta trovatore. Il gatto dorme e gli frega cazzi di Annibale, Scipione, il duca d'Alba, il vescovo, Bonaparte, Garibaldi, Benito, ma gli frega assai del geco sul muro calcinato. Micione che c'era già 100000 anni fa e c'è pure adesso. Le "morte stagioni e la presente" ché intanto tutti assisteremo alla nostra ultima messa a panza all'aria. Il respiro del mare vicino che si frammenta tra i rami degli alberi di collina. Tutto è semplice, vero, è pace dimenticata.
Leo sembra un albero d'olivo intorcinato ma con le sembianze di Apollo: frentano che non si vanta ma che ha scritto un libro della madonna e di minerva che è lo specchio di quella gente adriatica e che lo studieranno pure tra centanni. Un dono che esce da una cornucopia tenuta in mano da Passione e Cultura e io sono contento che l'ha scritto lui. La civetta di Hegel gli fa una sega a Leo. La civetta di Hegel vola alla ricerca della verità solo quando una civiltà sta morendo, Leo ha la verità della storia passata, presente e, tiè, pure futura.
Davanti a noi facce di contadini non più contadini che rimangono contadini pure sulle loro BMW. E pure se guidano BMW li devi rispettare perché er somaro l'hanno guidato per un milione di anni e a te, brutto stronzo di cittadino, ti insegnano a campare perché non sai un cazzo di niente.
Non ti resta che guardare le belle donne. Simona dai capelli rossi, Barbara dagli occhi verdi, mamma Luisa che dopo cinquant'anni ancora prende la mano di Camillo il poeta trovatore.
Il paese va a dormire. Tutti con il libro del frentano. Il gatto ha lisciato di brutto il geco ma non molla, il cane finge di dormire. E' mezzanotte.  Frusta, Leo, Roberto il sapiente, Simona, Barbara e chi delira stanno al ventesimo tramezzino, al centesimo trancio di una pizza mai mangiata, a quintali di farro coi broccoletti, al millesimo bicchiere di rosso. Si ride e si piange. E' questa la vita.

Panzabianca

Re:Villa Scorciosa
« Risposta #2 : Mercoledì 11 Settembre 2019, 17:06:51 »
siete fortissimi. E con una ispiratissima vena poetica.
Grazie.



P.s. a me è arrivorno foto di inimitabili libagioni ...e della predona mano del Frusta. 

Offline leomeddix

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #3 : Giovedì 12 Settembre 2019, 01:31:30 »
Frusta, Arch, Panzabianca, come posso rispondervi…?
Dire che le vostre parole sono state per me il più grosso regalo è troppo poco. Dire che mi avete commosso è la verità, ma è una verità non facile da esprimere perché, come diceva il mio grande conterraneo Ennio Flaiano, “un difetto abruzzese, il più grave, è quello del pudore dei propri sentimenti”.
Ed io, infatti, di fronte a questa dimostrazione di affetto e di “unità spirituale” resto muto.
Ma la mia gratitudine e la mia commozione non mi esimono dal raccontare –affinchè tutti i forumisti conoscano la verità- i giorni trascorsi questa estate con voi (e con la presenza ‘spirituale’ di Panzabianca).
I fatti sono andati così: Arch, Frusta e Barbara sono venuti a trovarmi in occasione della presentazione del libro sulla storia del mio paese, ma fin da subito ho capito che i loro interessi culturali erano chiaramente sovrastati da quelli eno-gastronomici. L’ho capito subito, durante il pranzo di benvenuto, quando i nostri tre prodi Biancocelesti si sono avventati con eroico furore sul pentolone di pasta all’amatriciana, sulla teglia ricolma di carni cotte al forno, sulla casseruola traboccante di bocconotti e altri dolci locali. Arch e Frusta non hanno mostrato pudore alcuno, spazzolando tutto quello che si trovavano davanti, senza pietà. Solo Barbara, dall’alto della sua innata grazia, ha mantenuto un certo contegno, accontentandosi di un solo bis per ogni piatto. Di fronte a questa visione orgiastico-culinaria, mia madre si è commossa, mio fratello si è spaventato, mio padre ha filosoficamente giustificato questo remake della Grande Abbuffata in versione abruzzese (“E’ giusto così: da noi non si mangia per fame, ma per vendetta!”). Insomma, è stato un trionfo.
Poi, giunta sera, la presentazione del libro. In piazza c’era la gente del paese, al tavolo dei relatori io, le grandi autorità locali (Sindaco e presidente del Dopolavoro) e - last but non least – il nostro Arch in veste di consulente storico.
Quando Arch ha cominciato il suo intervento con una dottissima dissertazione sull’idealismo di Hegel nel contesto di Villa Scorciosa, per un attimo ho temuto il peggio, ed invece fu l’apoteosi: ho visto antichi   volti di contadini ipnotizzati dalle immagini della dialettica hegeliana, ho visto vecchine in nero inseguire con la mente il volo della Nottola di Minerva. Ho visto anche il Sindaco, che forse non capiva, ma comunque annuiva alle parole del Vate biancoceleste, perché a volte la verità –soprattutto quando è troppo grande- non può essere compresa, ma solo intuita.
Insomma, un altro trionfo.
Poi è venuta la parte più importante della serata, ovvero il buffet. E siccome un vero intellettuale è tale anche a tavola, Arch ha superato la contraddizione tra le esigenze del fegato e quelle del palato grazie ad una elegante sintesi hegeliana: “Per conoscere un popolo bisogna conoscere la sua cultura gastronomica”, diceva mentre azzannava pizze rustiche, paste, dolci ripieni. Questo buffet è stata per lui una dura esperienza, ma la cultura, come si sa, a volte richiede pesanti sacrifici...
La serata ha avuto termine nel modo più glorioso, a casa mia, tra bicchierate di vino montepulciano e malinconiche canzoni al suono di una chitarra. E lì ho capito la verità del detto “In vino veritas”, perché Frusta –che nel forum spesso gioca a fare il destro ma in realtà ha un cuore grande che batte a sinistra- nella generale commozione ha guidato il coro de “Su, comunisti della Capitale ”.
Il trionfo definitivo.

Frusta, Arch, Barbara, grazie per questi giorni passati insieme: io, Simona e i miei famigliari vi mandiamo un abbraccio. Avete conosciuto l’Abruzzo profondo, quello rimasto un po’ arcaico, e per questo ora siete un poco abruzzesi anche voi.
E allora, come si usa augurare tra il popolo della diaspora, vi diciamo: “Il prossimo anno a Gerusalemme Villa Scorciosa!”. 
È GIÀ SETTEMBRE ? NON CI POSSO CREDERE! LA MIA VITA STA PASSANDO TROPPO VELOCE. LA MIA UNICA SPERANZA È CHE SI VADA AI TEMPI SUPPLEMENTARI. (CHARLES M. SCHULZ)

Panzabianca

Re:Villa Scorciosa
« Risposta #4 : Giovedì 12 Settembre 2019, 14:22:13 »
eroico furore...

 :laughing6: :laughing6:

me so perso qualcosa...

Offline Frusta

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #5 : Giovedì 12 Settembre 2019, 14:40:33 »
Nessun problema, Panza: a primavera è previsto un altro simposio da quelle bande.
Ne ho appena parlato con Leo  :D
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Panzabianca

Re:Villa Scorciosa
« Risposta #6 : Giovedì 12 Settembre 2019, 14:41:38 »
Nessun problema, Panza: a primavera è previsto un altro simposio da quelle bande.
Ne ho appena parlato con Leo  :D

sarocci

Offline Arch

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #7 : Giovedì 12 Settembre 2019, 17:10:44 »
Per la prossima venut magnata, darei un po' più di spazio agli antipasti che, nell'occasione, si sono limitati ai soli prosciutto, salamelle (6 tipi), lonze, capocolli, formaggi d'alpeggio (12 tipi), di capra, con tartufi, ricottine varie, formaggio di fossa, meloni, peperoni sottolio…….

Offline leomeddix

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #8 : Giovedì 12 Settembre 2019, 18:47:47 »

Villa Scorciosa: pranzo conviviale Biancoceleste
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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #9 : Giovedì 12 Settembre 2019, 19:28:26 »
Io sono quello (coi capelli bianchi e con la trippa) che canta  :D



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Offline leomeddix

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #10 : Giovedì 12 Settembre 2019, 20:09:28 »
Io sono quello (coi capelli bianchi e con la trippa) che canta  :D




Tacci de te, m'hai fatto piagne  :crybaby2:
Ma forse è solo congiuntivite  :sciarpaD:
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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #11 : Venerdì 13 Settembre 2019, 19:24:08 »
Oppure la cipolla che stavi a tajà per aggiungerla (come fanno quelli che te vonno fa leccà i diti delle mano) alla la rosolatura del guanciale.
Meglio che non ci ripenso a quell' amatriciana  :P che sennò sbavo come un mastino napoletano.
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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #12 : Venerdì 13 Settembre 2019, 20:15:36 »
Meglio che non ci ripenso a quell' amatriciana  :P che sennò sbavo come un mastino napoletano.


LA MATRICIANA MIA

Soffriggete in padella staggionata,
cipolla, ojo, zenzero infocato,
mezz’etto de guanciale affumicato
e mezzo de pancetta arotolata.
Ar punto che ‘sta robba è rosolata,
schizzatela d’aceto profumato
e a fiamma viva, quanno è svaporato,
 mettete la conserva concentrata.
Appresso er dado che jè dà sapore,
li pommidori freschi San Marzano,
co’ un ciuffo de basilico pe’ odore.
E ammalappena er sugo fa l’occhietti,
assieme a pecorino e parmigiano,
conditece de prescia li spaghetti.
 (Aldo Fabrizi)



Gli italiani hanno solo due cose per la testa: l’altra sono gli spaghetti. :risa:
 (Catherine Deneuve)


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Offline leomeddix

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #13 : Sabato 14 Settembre 2019, 12:31:14 »
Visto che è stato aperto questo spazio riguardante il mio paese d'origine [che poi, a pensarci bene, ognuno di noi ha un suo paese dell'anima, cioè il villaggio della nostalgia dove è nato, dove è cresciuto o dove ha trascorso l'infanzia], ne approfitto per inserirvi qualche brano di poesia dialettale, poesia che da sempre esprime l'anima autentica del popolo più umile e che ha per contenuto "sentimenti semplici in corrispondenti semplici forme”.
 Inizio -me lo perdonerete- con una poesia di mio padre che si intitola: Lu cingiare, ovvero "lo stracciarolo", un componimento che è insieme fiaba e racconto epico, il cui finale tragico ci insegna che “due farine diverse non si impastano”, cioè che tra i ricchi e la gente povera esiste una barriera che non si può superare, e fra loro anche l'amore è solo illusione.


LU CINGIARE
Quand’, a lu vern’, avé ott’ novanne,
la neve casché ‘nterre gné pampuoie
iev’ a la piazz’ a-ffa a-palluttanne
fin’acché mi ‘mpirè come na fuoie.
Tatone ca statté a lu balicone
abbirruttat’ a na mantella nere
nu ccenne mi facé ‘nchi lu bbastone,
m’arcorde mó, comme ssi-ffusse iere,
ca mi chiamé ccuscì: “Lippì viè ‘nguà
nnecc’ a-ttatone su viett’ a-scallà”;
ttorn’ a lu foche mi facé-ssittà
pó li sturielle cuminzè ‘rcuntà.
Di chi li storie sol’ la cchiù ttriste
dentr’ a la cocce ‘mpresse m’à rimaste
s’intitulé “Giuvanne Bellaviste”
o meje “ddu farine ca ‘nzi ‘mpaste".
La stori-arconte ca tant’hienn’arrete
Giuvanne, lu cingiare  scurcisane,
ggiré cità e paise – sempr’ a-ppede
p'accattà-cinge e rmidià lu pane.
“E' Arrivate Giuvanne di boncore!”
strilleve forte pi ‘rchiamà la gente,
nu strille ca rrivé fin’a lu core
e intiniré gné fusse nu lamente.
Nu iuorne l’à purtate lu distine
vicin’ a nu palazze di rignante
addó-ffacciate steve la riggine
tutta ‘ndurate, piene di bbirlante.
Tant’ere bbelle ca paré na fate
tiné ddu uocchie piene di mistere
e lu cingiare ca ‘rmané ‘ncantate
s’addummanné: “è sonn’ u è lu vere?”
Ma la riggine ‘nchi la vocc’a-rrise
li chiame “giuvinò – saij-a lu me”;
Giuvanne ‘ntrenne ‘a cchi lu paradise
filice si sinteve gné nu rré.
Nascé na abbella storia a stu palazze
tra chi lu puvirett’ e la riggine
però… quand s’ammesteche li rrazze
dumente cete lu cchiù-mmeje vine.
Ccuscì… comme la paja ca s’appicce
e si cunzume senza lassà tracce,
a la riggine passe lu capricce
e si ni freche di stu puviracce.
Allore li fardielle sa ripije,
ch’ere pisijent, e-parte cuzza cuzze;
curré gné na sajette pi li vie
turtuos’ e luonghe ca port’ a l’Abruzze.
Arvà a la cas’ addò na mamma sante
ca oramà vicin’ er’a la morte
Si l’abbracceve forte tra lu piante…
Pi tutt’ e-ddù signat’ere la sorte.
Mó, lu cingiar’ ardutt’ a na mijiche
senza cumporte di pirzone care,
senza cunpronte di pirzon’ amiche
pije na dicisione – la cchiù amare:
gné nu tintone và nni ‘nzi fa ‘ngresce,
stregne na crocia d’ore tra li dete
da nu strapiomme si va-jittà-pesce
‘nfonne a lu mare pi truvà la quiete.
Da la Scurciose – si scuoiet’ lu mare
quand’ la notte li rimure tace
siente na lagne: quell’è lu cingiare
ca manche sott’ all’acque trove pace.

 
(Camillo Di Paolo)




Traduzione:
LO STRACCIAROLO

[Quando, di inverno, avevo otto – nove anni / la neve cadeva in terra come fogli di carta / andavo in piazza a fare a pallottate / finché mi intirizzivo come una foglia. / Mio nonno che stava sul balcone / intabarrato in un mantello nero / mi faceva un cenno col bastone, / me lo ricordo come se fosse ieri ,/ che mi chiamava così: “Lippì, vieni qua,/ vicino a nonno su vieniti a scaldare”; / attorno al fuoco mi faceva sedere / poi la storiella cominciava a raccontare./ Di quella storia solo la più triste / mi è rimasta impressa nella mente / s’intitolava “Giovanni Bellavista” / o meglio “due farine che non si impastano”./ La storia racconta che tanti anni fa / Giovanni, lu cingiare scorciosano, / girava per città e paesi –sempre a piedi / per comprare cenci e rimediare il pane. / “E’ arrivato Giovanni di buoncore!” / strillava forte per richiamare la gente, / un urlo che arrivava fino al cuore / e inteneriva come fosse un lamento. / Un giorno il destino lo portò / vicino al palazzo di un regnante / dove, affacciata, stava una regina / tutta ingioiellata, piena di brillanti. / Tanto era bella che sembrava una fata / aveva due occhi pieni di mistero / e lu cingiare che rimase incantato / si domandava: “è un sogno oppure è vero?” / Ma la regina col sorriso in bocca / lo chiamò “giovinotto – sali da me”. / Giovanni entrando in quel paradiso / felice si sentiva come un re. / Nacque una bella storia in quel palazzo / tra quel poveretto e la regina / però… quando si mischiano le razze / diventa aceto anche il vino migliore. / Così… come la paglia si accende / e si consuma senza lasciare tracce, / alla regina passa il capriccio / e non se ne frega più del poveraccio. / Allora lui si riprende il suo fardello / che era pesante e riparte lemme lemme; / correva come una saetta per le vie / tortuose e lunghe che portano in Abruzzo. / Torna a casa dove la mamma santa / che oramai era vicina alla morte / lo abbracciò forte tra il pianto…/ Per tutti e due era segnata la sorte. / Ora, lo stracciarolo, ridotto a mollica / senza conforto di persone care / senza consolazione di persone amiche / prende una decisione – la più amara: / come intontito va, non si intimorisce/ stringe una croce d’oro fra le dita / e da uno strapiombo si butta a pesce / in fondo al mare per trovar la quiete./ Dalla Scorciosa –se ascolti il mare / quando di notte il rumore tace / senti un lamento: quello è lu cingiare / che neanche sotto l’acqua trova pace.]

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #14 : Sabato 14 Settembre 2019, 12:41:59 »
 :(  E povero cingiare che non troverà mai pace.
 :D M'è sembrato davvero sentire la voce di papà Camillo.
Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #15 : Sabato 14 Settembre 2019, 18:33:55 »
Negli anni trenta il poeta milanese Antonio Negri, eccioè questo giovinotto qui: http://www.milanesiabella.it/negriantonio_bio_el.htm entrò in contatto del Gruppo dei Romanisti (che non hanno niente a che vedere con le bestie che hanno usurpato il nome della Capitale ma che sono questi qua: https://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_dei_Romanisti ) attreverso il suo amico Attilio Taggi, che sarebbe questo giovinotto qui: http://web.tiscali.it/sgurgola/attilio_taggi.htm che lo introdusse alla corte di Trilussa e Jandolo facendogli conoscere sia la poesia romana (non "romanesca", romaneschi sò i carciofi) e la poesia ciociara.
Il meneghino Antonio si innamorò talmente di quest' ultima da dedicarle un sonetto.
La "uttarella", cioè la fanciulla di cui lamente l'amore non corrisposto, è, appunto, la poesia in dialetto ciociaro.
E il "frato bono", cioè il buon fratello, è il suo amico Attilio Taggi.

Nnammurata

Ohi frato bono, ssa guitara te'
ca sona i piagni, ca la nnammurata
ci sbatte sempre 'nfaccia la 'mpannata
è daloqualo a sta guitara me'.

I comme ti, je puro voglio bbe'
a nn' uttarella che me fa la 'grata
i ci canto c' l' alema addannata:
"Ma perché, fata bella, ma perché

Nnù vo' cagna' gli' amoro co' gli' amoro,
perché nnù mme vo' stregna fra le vraccia
doppo che mmé tte sì toto glio coro?
Perché me sbatti ssà 'mpannata 'nfaccia? 

Ippuro ohi bella povesia mé doci."
je pe ttì peno comme Cristo 'croci.

Trad:


Innamorata

Mio buon fratello, questa tua chitarra
che suona e piange perché l' innamorata
gli sbatte sempre in faccia gli scuri (della finestra verso la quale io poeta indirizza le sue serenate)
è tale e quale a questa mia chitarra.

E come te anche io voglio bene
ad una fanciulla che mi fa l' ingrata
e le canto con l' anima dannata
"Ma perché, fata bella, ma perché

non vuoi cambiare l' amore con l' amore,
perché non mi vuoi stringere fra le braccia
dopo che mi hai preso il cuore?
Perché mi sbatti questi scuri in faccia?

Eppure, o bella poesia mia dolce
io per te soffro come Cristo in croce.


Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

Offline leomeddix

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #16 : Sabato 14 Settembre 2019, 19:59:38 »
Grande Frusta! Fra l'altro, il dialetto ciociaro ha molte attinenze col dialetto abruzzese occidentale-aquilano, caratterizzato da vocali finali chiare ('carezza', lengua'), mentre nell'Abruzzo orientale, di ceppo osco-sannita, la vocale finale è indistinta, cioè muta ('carezzә', 'lenguә').

Comunque è consolante -e quasi incredibile- il fatto che siano esistiti 'Romanisti' di cui non dobbiamo vergognarci  :sciarpaD:
È GIÀ SETTEMBRE ? NON CI POSSO CREDERE! LA MIA VITA STA PASSANDO TROPPO VELOCE. LA MIA UNICA SPERANZA È CHE SI VADA AI TEMPI SUPPLEMENTARI. (CHARLES M. SCHULZ)

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #17 : Lunedì 16 Settembre 2019, 11:20:56 »
Grande Camillo! Grande Antonio.

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #18 : Martedì 17 Settembre 2019, 16:54:25 »
Dato che di Arnaut Daniel qui ne abbiamo già parlato http://www.biancocelesti.org/index.php?topic=82395.msg854216#msg854216 e dato che frentanamente Leo ci invita a postare poesie in lingue inconsuete, ve ne metto qui una giusto pe favve assaggià la sensualità della sestina lirica.
(Traduzioni in italiano non ce ne stanno; ce n' è una in inglese, arrangiatevi con quella )

Lo ferm voler qu'el cor m'intra

Lo ferm voler qu'el cor m'intra
no'm pot ges becs escoissendre ni ongla
de lauzengier qui pert per mal dir s'arma;
e pus no l'aus batr'ab ram ni verja,
sivals a frau, lai on non aurai oncle,
jauzirai joi, en vergier o dins cambra.
 
Quan mi sove de la cambra
on a mon dan sai que nulhs om non intra
-ans me son tug plus que fraire ni oncle-
non ai membre no'm fremisca, neis l'ongla,
aissi cum fai l'enfas devant la verja:
tal paor ai no'l sia prop de l'arma.
 
Del cor li fos, non de l'arma,
e cossentis m'a celat dins sa cambra,
que plus mi nafra'l cor que colp de verja
qu'ar lo sieus sers lai ont ilh es non intra:
de lieis serai aisi cum carn e ongla
e non creirai castic d'amic ni d'oncle.
 
Anc la seror de mon oncle
non amei plus ni tan, per aquest'arma,
qu'aitan vezis cum es lo detz de l'ongla,
s'a lieis plagues, volgr'esser de sa cambra:
de me pot far l'amors qu'ins el cor m'intra
miels a son vol c'om fortz de frevol verja.
 
Pus floric la seca verja
ni de n'Adam foron nebot e oncle
tan fin'amors cum selha qu'el cor m'intra
non cug fos anc en cors no neis en arma:
on qu'eu estei, fors en plan o dins cambra,
mos cors no's part de lieis tan cum ten l'ongla.
 
Aissi s'empren e s'enongla
mos cors en lieis cum l'escors'en la verja,
qu'ilh m'es de joi tors e palais e cambra;
e non am tan paren, fraire ni oncle,
qu'en Paradis n'aura doble joi m'arma,
si ja nulhs hom per ben amar lai intra.
 
Arnaut tramet son chantar d'ongl'e d'oncle
a Grant Desiei, qui de sa verj'a l'arma,
son cledisat qu'apres dins cambra intra.



The firm will that my heart enters

The firm will that my heart enters
can't be scraped by beak nor by nail
of slanderer who damns with ill speaking his soul;
since I don't dare beat them with bough or rod,
at least, secretly, where I won't have any uncle,
I'll enjoy pleasure, in the garden or in the room.
 
When I remember the room
where, to my scorn, I know no man enters
-instead they are all to me more than brother or uncle-
I have no limb that doesn't shake, not even the fingernail,
just as a child is before the rod:
such is my fear of not being close to her soul.
 
Were I close to her body, not to her soul,
were she to let me hide in her room,
since it hurts my heart more than strike of rod
that her servant isn't there where she enters:
I'll be with her what flesh is to nail
and I won't follow advice of friend or of uncle.
 
Not even the sister of my uncle
did I love more or as much, by this soul,
since, as the finger is close to the nail,
if she pleases, I want to be to her soul:
of me can do the love that my heart enters
more with its will than a strong man with a frail rod.
 
Since when flourished the withered rod
and from Adam sprung nephew and uncle,
a love as good as the one that my heart enters
I don't think has ever been in any body or soul:
wherever I am, out in the plains or in a room,
my heart doesn't part from her more than a nail.
 
So clings and is fixed, like with nail,
my heart to her like the bark to the rod,
she is to me tower, palace and room;
and I don't love as much parent, brother or uncle,
and in Paradise will have double joy my soul,
if anyone there for good-loving enters.
 
Arnaut sends forth this song of uncle and nail
to Great Desire, which of his rod holds the soul,
a framework-song which, learned, the room enters.



Lazio, ti amo con tutta la feniletilamina, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina che mi circolano nel cervello, che rendono il mio pensiero poco logico e che mi procurano strane sensazioni in tutta l’anatomia e battiti sconclusionati nell’organo principale del mio apparato circolatorio.

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Re:Villa Scorciosa
« Risposta #19 : Martedì 17 Settembre 2019, 21:22:57 »
(Traduzioni in italiano non ce ne stanno; ce n' è una in inglese, arrangiatevi con quella )

Se, vabbè, il tuo è solo un subdolo tentativo di censura…  :sciarpaD:



LA FERMA VOLONTA' CHE IN CUORE M'ENTRA

La ferma volontà che in cuore m'entra
becco non può, né può scalfirla l'unghia
di spia che per sparlarle perde l'anima;
e non osando picchiar con ramo o verga
anche ingannando, quando non c'è lo zio,
me la godrei, in giardino o in camera.

Quando mi vien in mente la sua camera
dove ahimé so che nessuno mai entra
-male mi trattan più che frate o zio-
in ogni parte fremo, anche nell'unghia,
come un bimbo impaurito dalla verga,
per il timor di non starle accanto all'anima.

Accanto al corpo fossi, non all'anima,
mi volesse nasconder nella camera,
che più mi frusta il cuore d'una verga
esser suo servo che dov'è lei non entra:
con le starò con la carne all'unghia,
e me ne fregherò di un amico o uno zio.

Nemmeno la sorella di mio zio
amai tanto o di più, per la mia anima
che a lei vicino, come il dito all'unghia
esser vorrei, a lei piacendo, in camera:
fa di me quel che vuol amor che m'entra
in cuore più che un uom di fragil verga.

Dal tempo che fiorì la secca verga
e nipote discese da Adamo con lo zio
più fino amor di quel che in cuore m'entra
credo mai contenesse un cuore o un'anima:
ovunque sia, all'aria aperta o in camera
da lei il cor non si stacca, neanche un unghia.

Così si incarna in lei, come fa l'unghia,
il cuore mio, come scorza alla verga,
che di mia gioia è palazzo e torre e camera,
né tanto amo il parente, frate o zio,
che in Paradiso godrà il doppio l'anima
se mai per amar bene vi si entra.

Arnaut invia il suo canto e zio
a Gran Desio che di sua verga ha l'anima
cledisat suo, che appreso entra in camera.
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